LIVIA
Per varie vicissitudini di vita e lavoro da lungo tempo non entravo in carcere.
Carcere che è stata presenza quotidiana in tutta la mia vita lavorativa.
Ora da un mese ho varcato nuovamente quelle soglia, dopo quasi 20 anni non mi fanno più effetto i cancelli che si chiudono, le chiavi, i rumori e i silenzi.
Ma non mi sono assuefatta alle persone, per fortuna direi.
Abbiamo organizzato un corso di formazione e prendervi parte ancora mi provoca emozioni e sensazioni. Guardo i partecipanti, uomini più o meno adulti e più o meno stanchi, i loro occhi, le loro mani, i sorrisi a volte timidi e altre sfrontati; ascolto le loro parole, i loro racconti, le loro domande e mi rendo conto di come sia un’esperienza formativa non solo per loro che partecipano come beneficiari ma anche per noi che ci troviamo dall’altra parte.
Sto conoscendo persone nuove e ne ho reincontrate di già conosciute in passato sempre all’interno di altri istituti penitenziari; a loro volta mi ricordano periodi, sensazioni, volti, episodi lontani nel tempo ma vividi nei ricordi.
L’impatto è più forte di quanto pensavo e capisco che lo scambio umano che questo lavoro mi offre ancora mi riempie il cuore e mi affolla la testa di riflessioni e pensieri.
Riesco ancora a guardare le persone prima del reato che hanno commesso, riesco ancora a sospendere il giudizio e a trovare il lato positivo. Riesco ancora a dare una parte di me e a mettermi io per prima in discussione.
Durante le mie prime settimane di lavoro nella cooperativa PID, nel lontano 2003, mi è capitato di partecipare ad un convegno sul Terzo Settore e di ascoltare le parole appassionate e calorose di Don Ciotti che con enfasi diceva che fino a che questo lavoro continua a far ridere, piangere, emozionare, indignare, arrabbiare ha un senso continuare a farlo.
Ecco, per me è ancora tempo di svolgerlo.
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