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A San Valentino si celebra l’amore, l’amore struggente, durevole, eterno. L’amore passionale che ti incasina la mente, l’amore dei film e dei bigliettini a forma di cuori. Quell’amore lì che vediamo negoziarsi tra gelosie e inganni, che i poeti raccontano come una morsa che stringe le viscere. Quell’amore lì, certo ci parla alla pancia, ma abbiamo imparato tragicamente il suo non essere amore. 

 

“Tossico” è l’aggettivo di cui abusiamo, soprattutto in questi tempi di decostruzione delle certezze soffocanti, per descrivere un amore che ci intrappola e ci nega la libertà. Lo leggiamo sui post social, banalizzato in guide circoscritte che dicono di spiegartelo in 5 punti. “Come riconoscere una relazione tossica” e robe del genere. Si promuove consapevolezza, o si finisce per allontanarsi dalla profondità delle emozioni, senza saper riconoscerle, o comprenderle? La verità è che ci interroghiamo molto negli ultimi tempi su come narrare la libertà d’amare, non solo a San Valentino, e non solo l’amore romantico. Quando si pubblicano contenuti seri e un po’ difficili da affrontare sui social d’intrattenimento, ci si fanno mille domande. Verrà recepito il messaggio? Questo è il modo migliore per scriverlo? L’immagine è rappresentativa o solo accattivante? 

 

L’amore romantico

Il modello di amore romantico è molto noto, è un po’ quello che abbiamo introdotto sopra, naturalizzato dalla nostra cultura occidentale come quel sentimento fatale che unisce due persone in un vincolo esclusivo, durevole e duraturo che in genere viene sancito istituzionalmente con il contratto matrimoniale. L’amore romantico è appunto un modello, non è certo universale, come invece si è soliti pensare. La naturalizzazione del sentimento di amore romantico sembra esserci stato instillato dalle generazioni precedenti, pensiamo a Paolo e Francesca.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui della bella persona

che mi fu tolta; e’ l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sí forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte:

Caina attende chi a vita ci spense».

Queste parole da lor ci fuor porte.

Difficile non emozionarsi al cospetto di Dante! Ci viene insegnato fin da bambin3 questo tipo di amore, pur vagamente. Eppure non per tutt3 universale e naturale, ma piuttosto un modello prodotto dalla storia occidentale, all’interno delle classi dominanti prima e diffuso con i media e la cultura di massa poi. Proprio attraverso quest’ultima l’amore romantico trionfa come modello, si radica, pervade le convizioni per cui frasi come “sei tutto per me” diventano il grimaldello per accedere all’unico amore possibile: quello romantico. 

 

Con l’industrializzazione e la società di mercato si innesca un processo di individualizzazione che di questo modello d’amore ne tenta di far emergere la libertà decisionale.

 

Il sociologo Anthony Giddens si muove contro la concezione foucaultiana della presa in carico istituzionale delle pratiche, dei discorsi e dei sentimenti privati riguardo all’amore. E spiega la nascita più recente di un’idea nuova che consiste nella “nozione di amore come relazione pura”, diffusa negli ultimi decenni del Novecento all’interno della cultura occidentale. (Fabio Dei, 2016) Una relazione pura è quella svincolata dalle regole opprimenti dei tempi della repressione sessuale, del modello contrattualistico matrimoniale, della costruzione di un rapporto cioè che rispetti ruoli costitutivi e che abbia una continuità obbligata. Una relazione che si costruisce sulla base dei benefici reciproci e che finisce nel momento in cui questi vengono a mancare. 

La relazione pura è ancora nell’amore romantico, ma forse va un po’ oltre, ed è quella che supera la narrazione dell’incontro fatale d’un amore eterno, ma ne produce un’altra che attraverso film, musica, serie tv – e oggi reel, caroselli, montaggi emozionanti – ci fornisce un repertorio di storie che ci danno la concretezza sociale delle relazioni pure. (ibidem)  

 

L’amore oltre la coppia, oltre la coppia eteronormativa

Tutto bello ma riconosciamo oggi una realtà ancora diversa, un amore libero di darsi e di dirsi. Un amore che va ancora oltre la relazione pura e parte dal Sè, passa per le persone che per caso o scelta abbiamo accolto nella nostra vita, si relaziona in rapporti plurimi, in relazioni stabili o temporanee, condivide spazi, passioni, porzioni di mondi. Un amore dell’oltre le etichette, fine a se stesso. Esistono relazioni che a discapito di una certa propaganda che ne sporca l’autenticità appiccicandoci sopra espressioni negativizzanti quali “ideologia gender”, sono amorosamente reali nel solo esistere in questa realtà

 

E c’è la l’amore dell’amicizia e quello parentale, c’è l’amore dell’essere single e mai sol3, c’è l’amore che ci stringe in terzetti o in quartetti. C’è quello tra uomini e donne, quello di un uomo nei confronti di un altro e quello di due persone che non si definiscono con i generi dominanti. Tutta questa diffusione infinita d’amore dovrebbe portarci solo che gioia, per chi scrive è così. 

 

Non so molto dell’amore ancora, non credo neppure si possa sapere tanto in generale, perché alla fine non possiamo definirlo per caratteri e darci una definizione unica e universale. L’abbiamo detto, l’amore che conosciamo è un modello, quello che viviamo spesso ne è condizionato ma se ci guardiamo dentro e continuiamo a scavare, l’amore poi cos’è?

Per me l’amore è rispetto assoluto, è quando dai fiducia all’altro da te, è sentirsi al sicuro, spogliarsi di tutto e restare nud3 con le proprie fragilità. 

 

L’amore in carcere

«Lì fuori lo chiamano amore, ma dentro il carcere è meglio non parlare di queste cose» scrive Piero Vereni raccontando di un amore nato tra “un articolo 17” (un volontario) e una persona dipendente del penitenziario in cui ha svolto etnografia. 

L’affettività negata in carcere fa pensare che l’istituzione abbia paura dell’amore, come se un «legame affettivo con una persona (esterna) in intimità amichevole con molte persone detenute potrebbe ridurre proprio la distanza tra personale e detenuti, sovvertendo in uno spazio liminare la frattura moderna tra chi è recluso e chi è libero» (P. Vereni, 2017)

 

Una tematica che abbiamo affrontato in più di un’occasione: Intimità e affetti in carcere; Il detenuto “adultolescente” e che in questi giorni rimbalza sulle testate giornalistiche per la prima volta con notizie positive. 

Nelle carceri di Parma e Terni due persone detenute hanno ottenuto la possibilità di avere colloqui intimi, inclusi rapporti sessuali, senza la supervisione della polizia penitenziaria. Questo è avvenuto grazie soprattutto alla sentenza della Corte Costituzionale di gennaio dello scorso anno, con la quale si è dichiarato illegittimo il divieto di affettività e sessualità in carcere

 

Di strada ce n’è ancora, ma per oggi, almeno per le due coppie riunite di Terni e Parma, accogliamo la gioia. E vi auguriamo buon San Valentino, qualsiasi modello d’amore viviate.

 

Questo focus fa parte della Campagna PID “Assorbire il cambiamento 2.0” – Un’iniziativa che prevede la donazione degli assorbenti in carcere, la realizzazione di laboratori e incontri all’interno di istituti penitenziari femminili e strutture di accoglienza per promuovere maggiore consapevolezza sul ciclo mestruale e sui “nuovi” prodotti igienico sanitari ecologici quali coppetta, slip mestruali e assorbenti lavabili. Leggi di più qui

 

Riferimenti

  • Dei (2016) “Antropologia culturale” 
  • Vereni (2017) “Catene d’amore, ovvero la statalità del male”