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Ricondividiamo l’articolo di Alessia già edito sulla piattaforma spaziale di FactoryA che vi invitiamo a consultare.

Il tabù mestruale oltre gli stereotipi e oltre le sbarre

Nel 2022 ho sentito per la prima volta parlare della necessità di raccogliere gli assorbenti da donare in carcere alle persone detenute. Ero da poco entrata a far parte della Cooperativa PID Onlus in veste di tirocinante. Sapevo abbastanza poco sia di carcere, sia di mestruazioni. Certo, essendo nata con un utero e socializzata femmina, sulle mestruazioni forse sapevo già qualcosa in più.

 

Dallo scorso anno, grazie al progetto “POSTER. Oltre gli stereotipi” promosso da AIDOS, abbiamo dato vita ad “Assorbire il cambiamento”: una giovanissima iniziativa che ha un obiettivo talmente banale che sembra assurdo definire invece come rivoluzionario: abbattere il tabù delle mestruazioni. E ancora di più, perché non ci basta, far riconoscere alla popolazione civile che quella reclusa, negli spazi ristretti e angusti del mondo che scegliamo ogni giorno di non vedere, vive senza aver garantiti diritti fondamentali. Ad esempio? Le persone con utero in carcere vivono il ciclo mestruale senza un accesso adeguato a servizi e prodotti igienico-sanitari. Per dirla più semplice, in carcere, quando arrivano, arrivano pochi assorbenti e in genere neppure di qualità. Allora ci adoperiamo a parlarne, ma prima sembra doveroso allargare il discorso sul ciclo mestruale, perché quando si pensa al dentro, non si può che non pensare al fuori e viceversa: d’altronde anche se a volte si dimentica, siamo tutt3 parte della stessa società.

 

Il ciclo mestruale

A che serve il ciclo mestruale? Ancora nel XXI secolo, a discapito di tutte le impressionanti scoperte scientifiche, i viaggi interstellari, i cervelli algoritmici, le cure miracolose ecc., non si è trovata una spiegazione reale di quale sia la ragione per cui buona parte della specie umana a intervalli più o meno regolari e per un tempo che copre circa la metà della sua esistenza, sanguina.

 

Cioè sì, sappiamo che è fondamentale per la riproduzione della specie. Perché però ci riproduciamo proprio così non lo sappiamo, in fondo il ciclo non è altro che uno spreco di ovuli distrutti dal mancato concepimento.

 

Sappiamo abbastanza bene come funziona questo processo biologico necessario alla riproduzione. Nell’arco della vita fertile di una persona con utero – in media dai 10/15 anni ai 45/55 – il corpo si prepara ad accogliere una possibile gravidanza attraverso un ciclo di 28 giorni circa che si divide in fasi.

 

  • La fase delle mestruazioni può durare 1-5 giorni, avviene quando l’ovulo del ciclo precedente non viene fecondato, e allora il corpo elimina l’endometrio, lo strato interno dell’utero. Il sangue mestruale è proprio l’endometrio che espelliamo. Non è per nulla piacevole, ma ci si abitua per forza di cose.
  • Nelle due settimane (circa) che seguono le mestruazioni, c’è la fase follicolare: è il momento in cui la ghiandola cerebrale nota come ipofisi secerne l’ormone che dice alle ovaie una cosa tipo “è arrivato il momento di produrre nuovi ovuli”. Solo uno tra questi avrà un posto di rilievo per l’utero che lo investirà di attenzioni, ricostruendone il rivestimento.
  • Poi c’è l’ovulazione. Ah, l’ovulazione! C’è chi l’aspetta come un bambino aspetta la mattina di Natale, chi la evita come si evitavano gli amici medici durante il periodo Covid: forse ci vediamo un altro giorno. Anche questa fase può durare circa 14 giorni ed è appunto il momento in cui il corpo di una persona con utero è più fecondo. Succede che quell’ovulo sistemato e accuratamente rivestito si fa maturo e attraversa la tuba di Falloppio in attesa di uno spermatozoo abbastanza attraente per farsi fecondare.
  • Quando questo non succede, se ci pensiamo quindi la maggioranza delle volte, arriva la fase luteale che dura almeno 15-28 giorni. Il corpo riduce allora la produzione di alcuni ormoni e il rivestimento dell’utero si sfalda: torniamo alla fase delle mestruazioni.

Il rituale del primo menarca

Tutte queste cose le impariamo più o meno a scuola, un po’ forse con le donne della nostra famiglia. Molte cose sul ciclo mestruale io per esempio non le sapevo fino a quando non ho iniziato a lavorare a questo progetto, nonostante “sono diventata signorina” almeno da 15 anni e prevedo di restarci per qualche decennio ancora.

 

Era l’estate della fine delle elementari e già avevo abbastanza ansia di dover affrontare le scuole medie, ricordo che mi preparavo dopo pranzo per andare al mare con mia madre, una sua amica e il figlio che è tutt’ora il mio migliore amico. Avevo il costumino pronto sul letto dei miei genitori, mi sbrigo a spogliarmi per infilarmelo e vedo una chiazza rossastra sulle mutandine. Panico misto a un’euforia che non saprei spiegarmi oggi. Corro da mia madre che al telefono, un po’ stupita dalla scena comica di una bambinetta scioccata con le mutande abbassate e sporche che la guardava con mille emozioni negli occhi, mi dice “vai da papà!”. Lei era impegnata e quindi dovevo farmi aiutare da papà. Questo sì, già ci rende chiaro che mio padre è uno di quegli uomini che si chiede cose tipo “perché ci sono bagni separati per maschi e per femmine?” e che non dice mai cose tipo “non tutti gli uomini…”.

 

Alla fine di questa scenetta simpatica, al mare ci sono andata e fiera sono stata sotto l’ombrellone con il mio assorbente e con i pantaloncini, a guardare il mio amico che triste e confuso mi chiedeva se almeno potevamo giocare a carte anche se non potevo fare il bagno. Quel giorno ricordo di essermi sentita superiore, nel senso di “più grande di te, perché ora io sono una donna”. (Scusa Matt)

 

Abbiamo poi sigillato questo rito di passaggio come da tradizione famigliare con mia madre e mia sorella maggiore, cena fuori e poi cinema: dove mangiare e cosa vedere l’ho scelto io, ero la festeggiata.

Ma festa di cosa?! Per i crampi alla pancia, le fitte ai reni che a volte lasciano senza respiro, i malditesta, il conteggio nevrotico di quanti assorbenti portare per stare in giro tutta la giornata? C’è a chi è andata peggio, per fortuna io posso dirmi tra le persone che hanno un flusso abbastanza regolare, fastidi e dolori il più delle volte non debilitanti, la possibilità economica di comprare gli assorbenti, i tamponi o le coppette che voglio.

Il sangue mestruale è un tabù

Quel sentirmi superiore al mio amico durato una mezza giornata era forse una rivincita metaforica perché nel mondo in cui abito, avrei scoperto poi, il ciclo mestruale è vissuto come un disagio, è un tabù da sussurrare, un peso da portare in silenzio, un odore sgradevole da celare; e aggiungerei, è solo uno dei millemila modi con cui le persone socializzate femmine sono state vittime e fautrici di un sistema dualistico che si basa sulla dominazione di un gruppo sull’altro. Detto più semplicemente, anche il tabù mestruale è prodotto della cultura patriarcale. Per questo, parlarne mi sembra banale e al tempo stesso rivoluzionario.

 

Pensiamo alla differenza con cui ci approcciamo socialmente al fluido riproduttivo maschile. Lo sperma viene “celebrato” e spesso, come ci ricorda Elise Thiébaut, ci viene detto che può avere effetti benefici per la salute di chi lo ingerisce; il sangue mestruale fa schifo. Il sangue può farci ribrezzo, eppure continuiamo a spargerlo per le città nei conflitti di potere, continuiamo a cercarlo nei film e nelle serie o nei videogiochi violenti. Ma quello mestruale è un tabù, nonostante invece che portare morte, doni la vita.

 

La giornalista che ha scritto l’ironico e provocatorio testo che sto leggendo proprio in questi giorni “Questo è il mio sangue. Manifesto contro il tabù mestruale”  ha detto:

[…] il sangue mestruale, afferma oggi la medicina moderna, non ha una funzione precisa quando lascia l’endometrio: è semplicemente il segno di un insuccesso riproduttivo.

Insuccesso anche dal punto di vista biologico, non ci danno tregua! Elise Thiébaut collega questo tipo di informazione che ci viene narrata a un sentimento indotto di vergogna, spiegandoci che

[…] secondo lo psicoanalista Serge Tisseron la vergogna gioca un ruolo socialmente importante: «A differenza del pudore, che non incide sull’autostima, e del senso di colpa, che comporta anche l’angoscia di perdere l’affetto dei propri cari, in più la vergogna minaccia la certezza di continuare a far parte del gruppo». Poiché disorienta ed emargina, la vergogna è – precisa Tisseron – «l’arma privilegiata del dominio su tutti coloro che sono in condizioni di fragilità».

Vivere il ciclo mestruale in carcere

Ed eccoci al dunque. Come vivono le persone con utero il ciclo mestruale in carcere? Una domanda complessa a cui non basta un trafiletto di un articolo web per rispondere. Proviamo a dare qualche informazione base.

La popolazione detenuta femminile rappresenta il 4% della popolazione detenuta italiana totale, ma affronta problematiche legate a un sistema penitenziario pensato al maschile, senza considerare le diverse identità di genere che lo abitano. Gli standard internazionali delle Nazioni Unite (Regole di Bangkok, 2010) promuovono la distribuzione gratuita di assorbenti nelle carceri, ma in Italia l’Amministrazione penitenziaria non garantisce quantità sufficienti né la possibilità di scegliere il tipo di prodotto.

 

Chi lavora e/o ha una rete sociale esterna a sostegno può acquistare gli assorbenti al “sopravvitto”, una sorta di negozio interno al carcere. Chi non ha risorse deve accontentarsi della fornitura minima: uno o due pacchi al mese.

Lascio che a parlare siano alcune testimonianze raccolte durante la scorsa annualità del progetto “Assorbire il cambiamento”, io ho già parlato troppo, come il mio solito.

 

Quando entri in carcere ti viene assegnata una cella, un letto, se nella cella ci sono più persone e ti viene data una “dotazione”: le lenzuola, una specie di asciugamano, un asciughino per i piatti, bicchieri e posate di plastica e una saponetta. Poi, non è detto che te li diano all’inizio, ma comunque puoi chiedere un pacco di assorbenti al mese. Ovviamente sono indecenti come assorbenti, come qualità e soprattutto sono pochi.

Maria

 

Vi dico che prima che uscissi dalla sezione a settembre, gli assorbenti, i vestiti, i prodotti di igiene in generale venivano consegnati solo alle nuove giunte, alle altre no. E se sapevano, a maggior ragione che eri lavorante, ti obiettavano la cosa perché dicevano che non potevi prendere una cosa che toglievi ad altre che non lavoravano e che non potevano permettersi di comprarla. Quindi i materiali rimangono là anche per un nuovo arresto, una nuova giunta. La formula era questa e s’è mantenuta diciamo fino a poco fa, poi mo’ non lo so.

Rosaria

 

Quando sono entrata avevo il ciclo ma non mi hanno dato gli assorbenti. Ho preso il lenzuolo e l’ho strappato poi ho fatto così e via.

-Elena

 

In carcere funziona così, ci si arrangia con quel che si trova. Ti tieni l’assorbente fino a quando regge perché sai che ne hai pochi a disposizione e non sai quando arriveranno altri. Anche quando è estate e il materiale, con il sudore e il sangue in eccesso irrita la pelle.

 

E allora gli assorbenti in carcere servono per restituire alle persone recluse una dignità negata. Per ricordare loro la possibilità di scegliere come gestire il proprio ciclo. Servono perché a fronte delle difficoltà strutturali che devono affrontare nel quotidiano dell’istituzione totale carceraria, almeno non devono pensare a ingegnarsi per permettersi di non sporcarsi durante i giorni delle mestruazioni. E servono per dire che siamo divers3, il ciclo mestruale esiste e vogliamo che i diritti mestruali siano rispettati.

 

Forse non ho stuzzicato abbastanza la tua curiosità, forse sì. In ogni caso, se vuoi far parte del cambiamento ricorda che la raccolta assorbenti per il carcere del PID finisce il 28 maggio. Come puoi partecipare? Qui trovi tutte le informazioni necessarie.