• 2 settimane fa
  • 4Minuti

Chi va in carcere e perché ci va. Questo è il titolo del primo capitolo di un libro del ‘71 che mi ha regalato Francesco i primi giorni di tirocini “Il carcere in Italia. Inchiesta sui carcerati, i carcerieri e l’ideologia carceraria” di Ricci e Salierno

Il contesto degli anni Settanta era sicuramente molto diverso da quello di oggi, ma in carcere sembra che a finirci in maggior misura sia una specifica categoria di persone che commette una data tipologia di crimini. A discapito di chi, con la faccia pulita, cammina libero e senza rimpianto, in seguito a certi fatti forse più spregevoli di altri. A giudicare sono i giudici, così mi limito a chiedere, retoricamente perché sento di avere già una risposta, la giustizia è uguale per tutt3? 

 

Senza andare ora a chiederci cosa sia la giustizia, magari ci porremo questa domanda in un’altra occasione. Leggiamo quello che riportano nel 1971 Ricci e Salierno circa il Chi va in carcere e perchè. 

Come giustamente osserva il giudice Guido Neppi Mòdona:

«G. T. non ha rubato miliardi in danno dello stato o di enti pubblici, non ha attentato alla salute pubblica adulterando prodotti alimentari o inquinando l’aria o l’acqua, non ha commesso omicidi a scopo di rapina o di estorsione, non ha seviziato fanciulle o sfruttato prostitute. G. T. rappresenta un caso del tutto normale, si trova nella medesima situazione di tanti altri detenuti nelle nostre carceri. Ha semplicemente commesso i delitti dei poveri, degli spostati, sottraendo al prossimo cose per un ammontare, rivalutato in moneta del 1970, il cui valore non supera un milione di lire. Inoltre ha due o tre condanne per truffa, appropriazione indebita e falso in cambiali, si è una volta autoaccusato di un delitto di falso in cambiali da lui non commesso, nella speranza di ottenere da un compagno di detenzione una somma di danaro con cui pagarsi un difensore, ed è stato poi conseguentemente condannato per autocalunnia.» 

Cosí G. T. non è un’eccezione: è semplicemente un caso, del tutto analogo a quello di centinaia di migliaia di vittime della giustizia di classe.

Chi va in carcere in Italia oggi

Il Ventesimo Rapporto sulle condizioni di detenzione di Antigone ha analizzato l’andamento della criminalità in Italia fino al 2023. In seguito all’incremento del numero dei reati durante il biennio pandemico 2020-2022, Antigone ha evidenziato una ripresa della riduzione. 

 

  • Da gennaio a luglio 2023 infatti, secondo i dati del Ministero dell’Interno, sono stati denunciati 1.228.454 delitti: un calo del 5,5% rispetto al medesimo periodo del 2022
  • Il numero delle uccisioni è stato di 315, come nel 2019: 115 hanno avuto come vittime donne. I casi registrati di violenze sessuali ammontavano a 4.341, diminuivano del 12%; il 91% del totale verso donne. 
  • All’ultimo giorno del 2023, le persone detenute in Italia erano 60.166, con un totale di 142.675 reati ascritti, indicando una media di 2,4 reati per detenuto. 

 

Ma quali sono i reati più comuni in Italia? Chi va in carcere? 

Nel 2023 si registrano, con 34.126 casi, i reati contro il patrimonio come i più comuni; seguiti dai reati legati agli stupefacenti

29 gennaio 2025 

Neanche un mese fa abbiamo avuto la notizia di chi va in carcere oggi e chi da quel posto poi non sempre riesce a uscire. I numeri dei suicidi negli istituti penitenziari italiani continuano a crescere, ne abbiamo parlato già sottolineando la macabra ironia di azzerare e ricominciare la conta dopo il passaggio all’anno nuovo. Dal 2024 al 2025 poco è cambiato

 

Il 29 gennaio 2025, S.R. ha scelto la morte nel carcere di Vigevano. Era un dipendente dell’ATM di Milano. Come riportato da Fanpage.it era stato arrestato per una rapina di 55 euro commessa nel gennaio 2020. Nonostante avesse un lavoro stabile, S.R. aveva problemi di alcolismo e soffriva di ludopatia: le condizioni che lo avevano portato a compiere il reato. Dopo l’arresto nel dicembre 2024, il suo avvocato aveva richiesto misure alternative alla detenzione, evidenziando il grave stato depressivo del cliente e precedenti tentativi di autolesionismo. 

La richiesta però non è stata accolta dal magistrato di sorveglianza che ha rigettato l’istanza, ritenendo necessario attendere ulteriori valutazioni mediche. Poco dopo aver ricevuto una comunicazione dall’azienda circa un possibile licenziamento, il gesto estremo.

 

L’avvocato sostiene che la morte di S.R. poteva essere evitata e chiede che vengano accertate le responsabilità dell’accaduto.

 

Ecco, nel 2025, chi va in carcere.