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La mia famiglia è molto numerosa, se guardiamo in grande. Io con mia moglie però abbiamo tre figli, di cui l’ultima che ha 20 anni è nata mentre io ero già in Carcere, per cui non l’ho vista crescere come avrei voluto. Ringraziando Dio mia moglie mi è sempre stata vicino e mi ha seguito passo dopo passo: ha mantenuto viva la mia presenza all’interno della famiglia.

Quello che mi ha portato avanti 20 anni in Carcere è stata proprio la mia famiglia, la forza più grande. Senza famiglia in carcere sei finito: penso a tutte quelle persone che si tolgono la vita, perché si sentono soli e abbandonati. Invece quando hai una famiglia che ti sostiene, fai i colloqui e ti carichi. 

Hai una speranza. 

  1. I colloqui familiari in Carcere;
  2. Quando esco vado subito dalla mia famiglia;
  3. La mia nuova vita.

I colloqui familiari in Carcere

Ogni 15 giorni avevo diritto a un colloquio. Quindi due volte al mese: uno lo facevo con mia moglie e mia figlia, l’altro con mia sorella. Anche la mia famiglia di appartenenza è stata fondamentale durante il mio percorso. Nonostante loro non siano mai stati d’accordo con le mie scelte di vita, mi hanno sempre seguito e mi sono sempre stati vicino in tutto.

All’inizio ho preso molti rapporti, non avevo accettato la mia condanna e quindi litigavo con tutti, soprattutto con gli agenti di Polizia Penitenziaria: il periodo più lungo che ho passato senza vedere la mia famiglia è stato di tre mesi. 

Sono stato tre mesi in isolamento in un Carcere in Sicilia, da dove volevo andare via, farmi spostare, proprio perchè troppo lontano da casa e mia moglie per venirmi a trovare si stancava tanto. Ho fatto  lo sciopero della fame per 15 giorni, perdendo 20 kg in un mese ma non ho ottenuto niente e per questo ho fatto un po’ di casino, così mi hanno chiuso in isolamento – dove sei solo tu e le pareti lisce

Piano piano mi sono fatto una ragione e ho iniziato a migliorare il mio comportamento, ottenendo anche il trasferimento. Ho girato un po’ di carceri: dalla Sicilia a Secondigliano, Napoli, Viterbo, Roma … 

Quando esco vado subito dalla mia famiglia

La mia condanna è di 29 anni e in pratica io la sto scontando tutta. Ora che sto sotto i 4 anni (cioè che mi mancano solo 4 anni alla fine della pena) posso fare richiesta per l’affidamento in prova ai servizi sociali.

Una volta ottenuta quella, si spera, cercherò di spostare l’affidamento da qui a casa mia: così potrò vedere mia nipote! Mia figlia più grande ha partorito ma non mi hanno dato permessi per andarla a trovare.

Gli equilibri dentro casa dovranno trovare nuovi incastri, è chiaro, una volta che potrò tornare. Non so immaginare come sarà, perché ovviamente sarà diverso rispetto a ora che magari mi vengono a trovare per massimo due, tre giorni. Allo stesso tempo dovremo tutti fare i conti con i cambiamenti che si sono vissuti in questi anni di lontananza. In primis io, sono cambiato molto. Soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i soldi: rispetto a prima sono molto più serio e gestisco meglio i miei soldi, senza andare a spenderli per cose futili. 

La mia nuova vita

Se potessi tornare indietro non rifarei quello che ho fatto ma una cosa è sicura, andrei a lavorare. Questo perché fondamentalmente, il percorso delinquenziale che ho scelto io da giovane di intraprendere può portare solo a due cose: una vita in carcere o la morte

Questo è quello che penso io, sicuramente anche per la mia specifica esperienza. 

Ad oggi io preferisco lavorare e sarei pronto a farlo fino al giorno della mia morte. Lavorare mi dà tanta soddisfazione, mi piace per questo: perché sono orgoglioso di quello che faccio, non sono fiero per niente di quello che ero. Se ci ripenso, mi ricordo di una volta che mio fratello era venuto a casa mia per aiutarmi con un signore che lavorava al comune per offrirmi un lavoro. Io ero totalmente fuori di testa, ora mi taglierei una mano per quel lavoro, mentre al tempo li ho cacciati di casa.

Tutte le sere mi ripeto in testa le parole di mio padre quando gli dissi che io “volevo fare il boss” e lui mi rispose: il vero boss è quello che alle 6 la mattina si alza, si mette la colazione sotto braccio e va a lavorare.

Dentro di me pensavo fosse uno scemo, oggi invece dico parole sante! – la galera mi ha cambiato tanto.

La mia famiglia mi ha sempre insegnato cose diverse dal percorso che poi ho scelto: me se ‘mbriacato o cervello. Così in carcere, piano piano, ho iniziato a prendermi la responsabilità delle mie azioni, parlando con me stesso ho capito tutto e ho iniziato a fare quello che potevo per mantenermi attivo. Ho lavorato dentro il carcere: pulivo i pavimenti, i gabinetti; ho partecipato a tutti i corsi che c’erano, da quello di fumetti a quello di pasticceria.

Quando dai un lavoro o un’attività a un detenuto, lo salvi.  

Questo però non l’ho capito subito, anzi. 

Il primo periodo di carcere l’ho vissuto quando avevo quattordici anni e no, non sono “uscito migliore”. Sono entrato in un meccanismo particolare che mi faceva alzare l’asticella sempre un po’ di più: mi sentivo superiore agli altri, a tutti quanti. Pensavo di poter far tutti fessi facilmente e per questo commettevo crimini anche in modi così assurdi che ad oggi non saprei neanche spiegare come facevo. Una volta appena uscito, per tornare a casa, ho rubato una macchina: appena fuori dal cancello del carcere.

Sono stato arrestato 36 volte! 

Non sono fiero per niente di quello che ho fatto ma sono tanto fiero di quello che sono oggi. 

LE PAROLE DI G