«Mi dispiace essere la prima donna a intervenire, ma la quarta a intervenire. Qui si sta parlando di un problema che riguarda principalmente le donne e, come al solito, il dibattito prende avvio da due uomini… Io mi auguro che stasera ognuno di noi dimentichi che l’aborto non è un gioco politico. Che a restare incinte siamo noi donne, che a partorire siamo noi donne, che a morire partorendo o abortendo siamo noi. E che la scelta tocca dunque a noi. A noi donne. E dobbiamo essere noi donne a prenderla, di volta in volta, di caso in caso, che a voi piaccia o meno. Tanto se non vi piace, siamo lo stesso noi a decidere. Lo abbiamo fatto per millenni. Abbiamo sfidato per millenni le vostre prediche, il vostro inferno, le vostre galere. Le sfideremo ancora.»
ALESSIA
Era il 1976, Oriana Fallaci rendeva la sua posizione nel dibattito sull’aborto in una puntata di “AZ: un fatto, come e perché”; due anni dopo in Italia viene introdotta la legge 194. Una legge indubbiamente ambigua e ampiamente discussa ma della quale dobbiamo necessariamente riconoscere l’importanza per l’introduzione della libertà di scegliere sull’interruzione di gravidanza. Una libertà che come tutte le altre va rivendicata con forza ogni giorno, dal momento in cui sembra tristemente non essere scontata. L’ambiguità e la poca concretezza della legge 194 si palesa sul piano del quotidiano, nei racconti delle donne che hanno dovuto subire gli atteggiamenti pregiudiziali degli obiettori di coscienza, vittime di un sistema culturale che non “concede” alle persone la libertà di scelta sul proprio corpo e sulla propria vita ogni volta che pronuncia “il mito” dell’istinto materno.
«L’attuale legge 194 non garantisce un vero diritto all’aborto ma lo consente in determinati e specifici casi. Ha avuto il merito di arginare la piaga dell’aborto clandestino ma non ha in alcun modo garantito l’autonomo diritto di scelta. Noi chiediamo un autonomo diritto di scelta e autodeterminazione, per far sì che la libertà riproduttiva non incontri più ostacoli morali e amministrativi e possa essere liberamente accessibile per chiunque decida di interrompere una gravidanza.»
La campagna “Libera di abortire” nasce il 20 maggio 2021 al fine di abbattere ogni tipo di ostacolo riguardo l’esperienza personalissima di scegliere di mettere al mondo un essere umano. Una scelta appunto così personale che oltre a dover essere garantita, direi anche che non può e non deve essere giudicata da nessunissima persona. Ad esempio io non vorrei mai sentire parole come “purtroppo l’aborto è una delle libertà delle donne” o cose simili, ma purtroppo le sentiamo tutte e tutti noi.
In una classe di quinto liceo, qualche anno fa, una professoressa di religione ha proiettato sul muro un video che sicuramente con la materia religiosa, almeno in termini di storia delle religioni, non aveva niente a che vedere: la vita di un embrione nel ventre della donna, insomma dalla formazione dello zigote in poi. Sarebbe potuta sembrare più una lezione di scienze che di religione. Questo almeno fino a quando la professoressa non ha bloccato il video al “primo trimestre” di gravidanza, più o meno il limite di tempo entro il quale una persona può scegliere di abortire.
Alla luce delle informazioni del video circa lo sviluppo del feto durante il primo semestre di gravidanza – si forma il sacco amniotico e la placenta; inizia il processo di generazione degli organi e a comparire gli arti – la professoressa ha chiesto alle sue studentesse se, dal momento che il feto aveva già un cuore, due braccia e due gambe, l’aborto potesse essere considerato un omicidio.
Non molto appropriato come metodo di apertura di un dibattito su una questione così intima, come l’interruzione volontaria di gravidanza. Non solo possono esserci milioni di motivi differenti rispetto alla decisione di una persona di non dare al mondo un essere umano, ci sono almeno altrettanti atteggiamenti con cui si attraversa un’esperienza di questo tipo. Dietro ogni scelta c’è il volere di una persona, i suoi sentimenti al riguardo e le sue uniche e incontestabili ragioni: nessuno ha il diritto di accusare, sottostimare o stigmatizzare le donne che abortiscono liberamente, avendo pieno controllo sul proprio corpo e la propria vita.