La morte di Carmine Tolomelli
Diritto alla salute in carcere? Non so se avete sentito di un uomo che è morto in carcere a causa di una grave malattia epatica a febbraio dello scorso anno. A ricordarcelo è Ristretti Orizzonti che ci parla del “diritto alla salute negato” dall’istituzione penitenziaria.
Si chiamava Carmine Tolomelli e la sua storia viene raccontata proprio in questi giorni dall’associazione Quei Bravi Ragazzi Family che denuncia l’inconsistenza dei diritti sanitari in carcere.
Carmine era un detenuto affetto da una grave malattia epatica che ha passato anni in attesa di un trattamento adeguato: 5 anni di istanze per ottenere un ricovero in luoghi più adatti non hanno trovato riscontri positivi, nonostante le sue condizioni fossero disperate.
Le autorità non hanno preso in considerazione le sue condizioni, continuando a ignorare le richieste di sostituzione della misura cautelare con la detenzione domiciliare. All’aggravarsi delle già complesse condizioni mediche dell’uomo viene predisposto un trasferimento d’urgenza in ospedale.
Il 24 febbraio 2024 Carmine Tolomelli muore poche ore dopo il ricovero.
Questo tragico caso solleva importanti interrogativi sulla gestione della salute nelle carceri italiane. Come per molte cose (e questo vale anche fuori dall’istituzione penitenziaria): da un lato ci sono le leggi che dovrebbero garantire il diritto alla salute; dall’altro c’è la realtà quotidiana che è ben diversa.
La morte di Carmine non è un caso isolato. Il sistema penitenziario italiano, in molti casi, non riesca a rispondere adeguatamente alle necessità sanitarie di chi vi è rinchiuso.
Un’altra vita reclusa che è stata spezzata. E forse allora il problema è il carcere? La morte di Carmine non deve essere dimenticata, ma deve servire da spunto per un cambiamento radicale, per evitare che altre tragedie simili si ripetano.
Il diritto alla salute e il SSN in carcere
Era il 2008 quando è stato avviato il trasferimento delle funzioni in materia di sanità penitenziaria al SSN (Sistema Sanitario Nazionale). Il passaggio dal campo amministrativo del ministero di Giustizia a quello dell’Asl del territorio, spiegano Kalika e Santorso, è stato un processo lungo:
«[…] realizzato con modalità e soprattutto tempistiche assai differenziate nel panorama penitenziario nazionale. » – Farsi la galera. Spazi e culture del penitenziario.
L’obiettivo era quello di equiparare il trattamento sanitario per tutte le persone del territorio, sia libere che recluse.
Ma il carcere genera malattie tutte sue, ricordate il carcelazo del carcere di San Pedro? Il personale medico presente nell’istituzione ancora prima della riforma lo sapeva bene: il carcere presenta patologie peculiari dovute alle condizioni di marginalità sociale dei detenuti.
«Nonostante alcune differenze relative agli assetti del servizio, le Asl non hanno riconosciuto esplicitamente queste peculiarità ma tendenzialmente individuato dei responsabili preposti all’organizzazione del lavoro del personale medico e infermieristico nelle prigioni, spingendo con intensità molto variabile verso un progressivo turn over del personale. Uno dei tratti innovativi della riforma va in effetti letto a sottrarre medici e infermieri dal controllo gerarchico dell’amministrazione penitenziaria, con l’evidente finalità di renderli più autonomi e indipendenti. Un obiettivo di cruciale importanza, giacché la componente sanitaria compartecipava con un ruolo fondamentale alla gestione della quotidianità penitenziaria. Al di là delle delicate meccanismi di socializzazione ambientale e professionale accentuati dal nuovo assetto, esso tende a rinforzare, almeno formalmente, l’idea del medico come figura in grado di esercitare un contropotere a fronte delle direzioni degli istituti e dei comandi di polizia penitenziaria (Ronco 2011; Cherchi 2017).» – Farsi la galera. Spazi e culture del penitenziario.
Nei fatti la questione del diritto alla salute in carcere si traduce in tempi di attesa lunghissimi per accedere a visite specialistiche (quando ci si riesce) e nella totale noncuranza delle condizioni mediche delle persone recluse, che come nel caso di Carmine, si rivela poi fatale.
Il nostro pensiero va a Carmine Tolomelli e ai suoi cari.