Si scherza? Non saprei. Parliamo ancora di sovraffollamento, di un tasso di suicidi ormai ben più che allarmante (siamo oltre i 70), un’emergenza carceri continua, che peggiora, si dilata a macchia d’olio e che svela le ipocrisie del sistema penitenziario italiano. Chiamarla ancora “emergenza” è quella moda che non passa mai, un po’ come quando si parla, nel pieno del fenomeno del cambiamento climatico, di emergenza ambientale e c*z*i vari. Ne parliamo ancora con tutto il rischio di sembrare monotematici: le problematiche delle carceri italiane sono strutturali, fanno parte del sistema che alimentano e no, non sono risolvibili aumentando le possibilità di incarcerazione.
«A dire il vero, quando si parla di sovraffollamento in carcere, non si può più definirla un’emergenza: il nostro sistema penitenziario è in sovraffollamento strutturale dall’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso.» – Stefano Anastasia per La Notizia.
Vorremmo condividere quello che il Garante dei diritti delle persone private della libertà del Lazio ha affermato in questi giorni, non perché a dirlo è stata una figura istituzionale, ma perché siamo totalmente d’accordo con lui!
A cosa serve costruire più istituti penitenziari e dare più opportunità di accesso alle misure alternative, se aumentano i reati e le magiche soluzioni detentive per le persone che non sono in linea della normatività sociale? Ci sembra veramente assurdo, eppure c’era da aspettarselo, quello che viene normato con il nuovo Decreto Sicurezza: l’introduzione del reato di protesta (quindi la resistenza non violenta) è un grandissimo attacco alla democrazia. Immaginiamo, anzi rendiamoci conto che a essere criminalizzate sono tutte quelle persone che si battono per esprimere un dissenso, un parere, un ideale sfavorevole o contrario nei confronti della classe politica dominante e del suo operato. Si scherza? Purtroppo, ancora no. E queste persone rischiano il carcere.
Pensiamo alla classica chiacchierata da bar: le persone detenute vengono dipinte come il peggior male della società, le stesse che sono per la maggior parte rinchiuse per reati che non ledono la persona…
«[…] tra le cause del sovraffollamento possiamo escludere l’aumento dei gravi reati contro la persona o contro la sicurezza pubblica, che non ha traccia nelle statistiche ufficiali. Il sovraffollamento, dunque, è in senso proprio un abuso di incarcerazioni che non risponde a reali esigenze di sicurezza e che non riesce a essere fronteggiato dalla pur enorme crescita delle alternative alla detenzione. Se ne dovessi individuare due cause, le indicherei nella fragilità di un sistema politico-istituzionale privo di effettiva rappresentatività e dunque votato a politiche populiste, particolarmente propense a un uso simbolico della giustizia penale, e nella progressiva desertificazione dei servizi di sostegno e integrazione della marginalità sociale, inevitabilmente destinata a finire in carcere in assenza di qualsiasi altra politica degna di nota.» – Stefano Anastasia per La Notizia.
Viviamo in questo mondo qui, dove non basta l’incarcerazione illegittima dei migranti nei CPR, non basta dare la possibilità alle persone minorenni di essere recluse in attesa di giudizio, non basta che le proteste vengono sedate col sangue dai manganelli fomentati dello stato di polizia, non bastano le gesta disperate di chi sceglie di porre fine alla sua vita… tutto questo non basta per ragionare sulle condizioni di una società che perisce sotto le promesse inattese di albe raggianti che non sorgono mai.
«Il governo pensa di dare soddisfazione al personale penitenziario, legittimamente frustrato dalle proprie condizioni di lavoro in carenza di organico e in ambienti fatiscenti e sovraffollati, bastonando i detenuti, come propone con l’introduzione del nuovo reato di ‘rivolta in carcere’, che sarà attribuibile anche a tre detenuti che si rifiutino pacificamente di rientrare in cella perché vogliono rappresentare al direttore, al magistrato di sorveglianza o al garante qualcosa che non funziona in cella o nella loro sezione. In questo modo, però, non si fa altro che esacerbare gli animi e rendere più difficile il lavoro del personale penitenziario e, in particolare, degli agenti che lavorano in sezione, a diretto contatto con i detenuti. Servirebbe, invece, lavorare per rendere possibile l’azione rieducativa delle istituzioni penitenziarie, a partire dall’adeguamento delle risorse umane ai bisogni della popolazione detenuta. Quindi, certamente va riempito l’organico della polizia penitenziaria, come si è fatto con gli educatori e come si sta facendo con i dirigenti, ma poi vanno ridotte le presenze in carcere a quei detenuti la cui gravità della pena consente e necessita l’opera rieducativa di cui la polizia penitenziaria è gran parte, restituendo al territorio quella marginalità sociale che invece ha bisogno di servizi di sostegno per una vita autonoma e indipendente nella legalità». – Stefano Anastasia per La Notizia.