Cooperativa sociale che offre servizi di ascolto, orientamento, formazione, accoglienza rivolti a detenuti/e, ex detenuti/e e persone che vivono in condizione di disagio sociale.

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Persone straniere detenute in Italia

Nel microcosmo carcerario italiano, le persone straniere detenute sono spesso trattate come un’unica categoria omogenea, senza considerare le specificità delle diverse comunità di provenienza. Come espresso da Antigone nel Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, sarebbe invece opportuno avviare una riflessione che complessifichi la realtà, sia per le politiche penali, sia per le opportunità di accesso alle misure alternative alla detenzione. 

Secondo i dati rilevati da Antigone, al 31 marzo 2024 la popolazione detenuta straniera nelle carceri italiane per adulti è pari al 31,3% di quella totale. Una percentuale in calo che rappresenta un significativo abbassamento rispetto ai picchi registrati nel passato, quando la percentuale superava il 37%. Negli anni 2008-2013, il numero degli stranieri in carcere non è mai sceso sotto le 20.000 unità. 

Il tema della sicurezza, di cui abbiamo discusso ampiamente in altri articoli e che ci riporta inevitabilmente anche al lavoro del Dossier statistico immigrazione 2024, è in gran parte un esercizio di propaganda. In realtà, focalizzarsi solo su questi numeri non aiuta a sviluppare politiche efficaci di prevenzione o di giustizia sociale.

 

Emerge un dato interessante riguardo la questione delle persone straniere ristrette in Italia, cioè quello relativo al tasso di detenzione degli stranieri: la percentuale degli individui detenuti rispetto alla popolazione straniera residente in Italia. Secondo i dati Istat, la popolazione straniera in Italia è cresciuta negli ultimi quindici anni, passando da 3,89 milioni di persone nel 2009 al 5,14 milioni nel 2023, pari all’8,7% della popolazione totale

Nonostante questo aumento, il numero di persone straniere detenute in carcere è diminuito, il che smentisce l’idea di una “emergenza criminalità” legata all’immigrazione.

Nel 2024 il tasso di detenzione per gli straniere è sceso allo 0,37%, con un calo complessivo di 0,24 punti percentuali negli ultimi 15 anni. Questo riflette una tendenza positiva che suggerisce che le politiche di regolarizzazione e integrazione (quando funzionano) hanno un impatto positivo sulla riduzione della criminalità, contribuendo a una minore incidenza di reati tra gli stranieri.

 

Quando si analizza la popolazione carceraria straniera, è fondamentale anche considerare le specificità delle singole nazionalità. Ogni gruppo presenta sfide e caratteristiche diverse, legate tanto al contesto socio-politico di provenienza quanto alle difficoltà incontrate in Italia a causa dei pregiudizi e gli stereotipi xenofobi fomentati e legittimati dalle poetiche nazionalistiche che urlano alla “difesa dei confini”. L’ordinamento penitenziario prevede nella teoria un trattamento personalizzato della persona ristretta che tenga conto delle differenze culturali, sanitarie e sociali.

Riprendendo ancora il Dossier, nello specifico il contributo di Sofia Antonelli (Associazione Antigone) leggiamo:

«Nonostante la loro contrazione, gli stranieri in carcere continuano ad essere sovra- rappresentati rispetto alla loro incidenza sulla popolazione residente in Italia. Indigenza ed emarginazione sociale aumenta, insieme al rischio di commettere reati, quello di finire in carcere anche solo per attendere la condanna o per scontare una pena breve, che invece potrebbe essere espiata con una misura di comunità. […] A prescindere dalla gravità del reato, più si adottano misure contenitive, più cresce la sovra-rappresentanza degli stranieri, visto che per gli italiani resta più facile accedere a percorsi alternativi alle restrizioni del sistema penale. Ciò è ancor più vero per i minori stranieri, la cui sovra-rappresentanza negli istituti minorili è anche più alta di quella degli adulti. Sebbene tra tutti gli infra-25enni residenti in Italia gli stranieri rappresentino l’8%, al 15 giugno 2024 quelli in carico dei servizi di giustizia minorile rappresentavano il 23% del totale e, dei 555 ragazzi detenuti negli istituti penali per minorenni (Ipm), quelli di origine straniera erano 266, il 48%.»

Dossier Statistico Immigrazione 2024 – I diritti negati

Anche quest’anno siamo stat3 invitat3 a partecipare alla presentazione del nuovo Dossier Statistico Immigrazione. Martedì scorso, grazie al lavoro del Centro Studi e Ricerche IDOS, insieme al Centro Studi Confronti e all’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, si è tenuto a Roma un incontro di riflessione sul fenomeno migratorio: sulle narrazioni e le rappresentazioni connotate in negativo dello stesso, il quale risulta essere, con evidente chiarezza, continuamente criminalizzato dalle politiche europee e nazionali del nostro contemporaneo. 

Riprendendo le parole dell’antropologo René Girard nell’opera “La violenza e il sacro”, Luca Di Sciullo, Presidente dell’Associazione IDOS, ha introdotto un tema cruciale per comprendere le dinamiche della società contemporanea in relazione al fenomeno migratorio e non solo. Ponendo attenzione alla potente figura biblica di Caino, la riflessione di Girard muove introno a quell’originario atto di violenza, l’omicidio di Abele, che sembra essere il fondamento della creazione delle prime città. Com’è noto infatti, Caino, dopo aver ucciso il fratello, si trasforma in costruttore di una nuova società. Questa figura di uccisore-fondatore, evocata anche da altre figure mitiche della storia umana come quella di Romolo, simboleggia una verità inquietante: la costruzione della civiltà, come la conosciamo, nasce da un fratricidio.

Questo legame tra violenza e potere è ancora vivo nelle istituzioni moderne, dove il “legislatore”, lontano dall’essere un arbitro imparziale, è intrinsecamente connesso alla violenza. Le leggi spesso legittimano il potere, creando un sistema che perpetua la negazione della fratellanza e giustifica la crudeltà come un mezzo per mantenere il controllo. 

Osserviamo, come ci invita il Dossier Statistico Immigrazione, che nella gestione politica del fenomeno migratorio, la violenza diventa non solo tollerata, ma più precisamente incoraggiata: la risposta che si propone di fronte ai “nemici esterni” che valicano i nostri “confini” è quella dell’allontanamento, della deportazione e dell’eliminazione.

 

Negli ultimi trent’anni le persone migranti sono diventate il capro espiatorio di tutte le difficoltà sociali ed economiche che affliggono l’Europa. Come osserva Di Sciullo, l’ostilità verso i migranti non è più solo un fenomeno sociale, ma una politica istituzionalizzata. Le leggi più recenti sono sempre più dure, crudeli e prive di fratellanza. Le persone che arrivano sulle nostre coste sono trattate come numeri, private dei diritti fondamentali e costrette a vivere in una condizione di precarietà giuridica e sociale.

In particolare, l’Italia ha avviato un processo di esclusione che si estende ben oltre le politiche di accoglienza. Le persone migranti sono esposte allo sfruttamento lavorativo, a condizioni di vita disumane nei CPR, e a una burocrazia che rende difficile, se non impossibile, il riconoscimento della cittadinanza. La politica migratoria dell’ultimo ventennio è una politica di “chiusura”, che non solo impedisce l’ingresso, ma crea vere e proprie “zone grigie” di esclusione, con la complicità di governi europei che chiudono gli occhi davanti agli abusi sistematici.

 

Oltre i numeri che spaccano gli schermi dei nostri smartphone e impoveriscono non di poco lo scenario di pericolosi riduzionismi, ci sono ancora una volta le persone e le loro vite. Questi incontri, questi momenti di riflessione che nascono grazie a un lavoro così minuzioso com’è quello del Dossier statistico sull’immigrazione, ci ricordano che fortunatamente, sono molte le voci che continuano a battere il colpo per la difesa dei diritti umani

Tra i contributi del 29 ottobre, quello di Nawal Sofi, in collegamento video, ci ha maggiormente restituito la cifra delle condizioni di vita delle persone che migrano, il frutto marcio delle politiche europee e nazionali. Nawal Sofi coordina le operazioni di salvataggio in mare, denunciando quotidianamente le violenze ai confini dell’Europa e le condizioni in cui vengono detenuti i migranti. “Le storie che non possono essere raccontate” – come ha affermato – sono quelle di chi, a causa di torture, rapimenti e ricatti, è costretto a subire un silenzio forzato. Queste persone si trovano intrappolate in un circolo di violenza e sfruttamento che non lascia via d’uscita.

 

Il quadro che emerge è allarmante: l’Europa si sta lentamente trasformando in una fortezza, dove l’indifferenza si sta sostituendo all’umanità, e il diritto d’asilo è ridotto a un’illusione. Le politiche migratorie diventano sempre più crudeli, e l’assenza di una risposta civile e solidale porta a una crescente “assuefazione” dell’opinione pubblica. Questo fenomeno, come ha sottolineato ancora Di Sciullo, è pericoloso: mentre le atrocità si moltiplicano, la capacità di indignarsi si affievolisce. La violazione dei diritti umani diventa “normale”, come se fosse inevitabile e giustificata dalla difesa delle frontiere e dalla protezione della “sicurezza”.

Diventa a questo punto fondamentale che la società civile, le organizzazioni e le istituzioni tornino a riflettere sul valore della solidarietà. La condizione dei migranti è solo la punta di un iceberg di disuguaglianza e ingiustizia che non può essere ignorata, se vogliamo costruire un futuro migliore per tutt3.

 

Nelle prossime settimane, grazie ai dati e alle analisi proposte all’interno del Dossier Statistico Immigrazione 2024, ragioneremo sulle condizioni dei migranti nelle carceri italiane e non solo.

Lasciamo qui sotto gli articoli sul Dossier Statistico Immigrazione degli anni passati:

Dossier statistico immigrazione 2022 – i migranti nelle carceri italiane

Dossier Statistico Immigrazione 2023

 

“La morte nel mio lavoro arriva sempre per telefono”

Le riflessioni di Laura dopo la notizia del suicidio a Ponte Galeria di una donna con la quale aveva lavorato 

Penso che la morte sia una cosa della vita, una di quelle dolorose. Ogni volta che mi ci sono trovata a contatto ho sempre avuto la sensazione  che la notizia mi arrivasse  da lontano, come un’eco che ti risuona dentro nel vuoto che quelle parole creano, il vuoto che fa spazio alla sensazione di dolore che presto ti avvolgerà e riempirà quel tempo del corpo inizialmente ed apparentemente sconfinato. Di fronte alla scomparsa di persone più o meno importanti della mia vita ho saputo istintivamente come comportarmi, ho capito che dovevo  imparare a dare un senso alla morte, trovarle un perché e ancor più quando questa si è presentata in maniera inaspettata e violenta, ogni volta sono riuscita a  tirarne fuori qualcosa.

 

Ma cosa bisogna provare se una persona per cui hai lavorato, per cui  e con cui hai cercato di costruire una via d’uscita da una vita che non le appartiene più, cosa bisogna provare se ti telefonano e ti dicono che questa persona si è impiccata a Ponte Galeria per la paura e la vergogna di essere  rimpatriata in un paese che era il suo solo anagraficamente? Qualcuno  mi dica cosa devo sentire.

 

Leggere una notizia del genere sul giornale  e darle un volto, una storia, una voce, un modo di parlare, degli occhi, un sorriso, pensieri, paure. Ecco questo cambia tutto. Lentamente diventa un fatto di cronaca, e i giorni, il tempo allontanano l’inquietudine ma lasciano spazio alla rabbia  che ara con calma un largo terreno dove  a coltivare riflessioni, quello che germoglia in breve tempo è frustrazione.

La sensazione viscerale si sviluppa nel distacco emotivo, un distacco necessario a sopravvivere per chi lavora “materiale umano”, e diviene impotenza dirompente, non è né il primo nell’ultimo nome che leggerò sul giornale,  ma solo incrociando la vita di questa donna, mi sono realmente resa conto che non sono solo nomi quelli che leggo, non che prima non lo sapessi, ma realizzarlo è differente.

 

La vita della gente sulle pagine dei giornali. E ognuno pensa  ciò che vuole, ognuno ha una sua opinione, in molti non battono ciglio, la vita di una persona nera fa meno notizia dell’ultima gaffe del presidente del consiglio, altri si arrabbiano, ma quanti poi alla fine si rendono conto di quello che stanno leggendo? Parliamo di persone il cui destino è scritto. Non lo è  nello “scegliere” di essere migranti, perché nella maggior parte dei casi non si tratta di scelte e per capirlo basta cercare di vestire altri i panni ed immaginarci a lasciare casa, affetti, figli, cultura, tutto quello che ci dà stabilità e  sicurezza, le uniche cose che rimangono ferme, immaginiamoci a salire su un aereo con un passaporto, 500 euro e una valigia se va bene e se va male a salire su un’imbarcazione di notte, nascosti, stipati come bestie e domandiamoci è una scelta questa? Domandiamoci qual è l’alternativa ad una scelta del genere? Il destino di queste persone è scritto e per la maggior parte di loro in percorsi di illegalità che sono lì pronti ad accoglierli e non è un segreto.

La cosa peggiore non è però che ci siano strade segnate dal passaggio di migranti e molte simili tra loro fatte spesso di fughe, violenze, arresti, droga, spaccio, prostituzione, furti e spesso necessariamente tossicodipendenza, l’orrore è capire che non è una strada ma una gabbia senza via di uscita studiata nel dettaglio da una società che ha bisogno di queste storie di queste vite per sopravvivere e produrre controllo. E mentre da una parte porta avanti la vecchia vecchissima deportazione di schiavi in catene che servono alla manodopera fondamentale per ogni paese (che oramai è troppo bassa quasi per chiunque  altro), dall’altra alimenta il razzismo e i conflitti mentre si copre di cristiana pietà.

 

La morte nel mio lavoro arriva sempre per telefono. Ahimé, ho una memoria fotografica e non dimentico mai un viso. E mentre quelle parole arrivano come un’eco, quello che visualizzo sono gli occhi delle persone e subito dopo la scena, come se fossi stata io a trovarle. Spesso e volentieri appese a una corda, perché tra i disperati impiccarsi va per la maggiore. Immagino la disperazione e quell’attimo. Perché di un attimo si tratta, di oscurità dove pensi che non ci sia alternativa alcuna se non questa. Vorrei potermela prendere con qualcuno vorrei che i meccanismi subdoli del potere avessero solo un volto, ma anche la dittatura si è modificata e continua a farlo proprio come un virus creato in laboratorio che  muta continuamente forma per non essere neutralizzato. Ma oggi è diverso, il fascismo è diverso e probabilmente dovrebbe avere anche un altro nome. Quella che abbiamo intorno è una dittatura mediatica infida, frutto di un lavoro lungo anni, fatta di pubblicità, televisione, di giornalismo pornografico, fatta di supermercati e di “formule” usa e getta, fatta di sfruttamento e di consumo e competizione che serve a dividere. Non è un nemico che si palesa ed è dunque difficile da individuare e combattere. Dico combattere perché è della nostra vita che si parla, perché tutti i meccanismi perversi sono riusciti ad entrarci dentro, nelle relazioni private, nei contesti lavorativi, nelle famiglie dentro ognuno di noi, ma  ognuno di noi può scegliere di ignorare o di non farlo, può scegliere di ignorare il trafiletto sul giornale che dice “clandestina si impicca” o può cominciare a farsi delle domande…e sarebbe già un buon inizio.

La criminalizzazione del migrante

ALESSIA

La criminalizzazione del migrante si estende negli ultimi anni e sempre con maggiore ferocia anche all’atto stesso del migrare, come abbiamo potuto già osservare durante la Presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2023. Nella sezione dedicata, andiamo a leggere le particolarità di un fenomeno che vuole nell’immaginario sociale la persona straniera come persona pericolosa, così diversa e lontana per “cultura” o “etnia” che non può conoscere né comprendere “le regole di casa nostra”. Alla banalizzazione assoluta di termini complessi – rappresentanti persone, vite e storie reali – che spesso accompagnano i discorsi del quotidiano, rispondiamo con le analisi, le ricerche sociali e le statistiche raccolte nel Dossier riguardo ai processi di criminalizzazione del migrante, di categorizzazione sociale e di securitarizzazione dello straniero. Ripercorriamo insieme i punti fondamentali affrontati.  

Le tre dinamiche dell’equazione migranti=criminali 

Il Dossier ci illustra, attraverso le parole della dottoressa Eugenia Blasetti (Università La Sapienza di Roma) tre dinamiche che «concorrono a costruire un nesso tra migrazioni e criminalità». Il sentimento comune può essere relativo alla percezione della persona migrante come persona pericolosa e dunque rappresentante una minaccia nei confronti “nostri”, della società per intero. Questo tipo di equazione “migranti=criminali” fonda le sue radici nei processi di categorizzazione sociale, securitarizzazione e criminalizzazione del migrante; i quali si inseriscono in modo trasversale negli ambiti del socio-culturale, del politico e del giuridico. 

  • Per categorizzazione sociale della persona migrante si intende l’assoggettazione di quest’ultima alla sua identità sociale; il ruolo e la posizione che essa ricopre all’interno di un gruppo umano. La rappresentazione sociale di una categoria di persone ha un peso importante nella definizione dei rapporti interpersonali e nella «produzione di identità condivise e conflittuali». Le persone migranti sono inserite all’interno di questo processo di rappresentazione collettiva, in relazione alla categoria criminale dalla quale è sicuramente molto difficile uscire fuori.
  • Sul piano politico vi è la tendenza a trasformare la questione dell’immigrazione in “meta-problema”, cioè – spiega Blasetti – «un fenomeno che può essere indicato come la causa di molti problemi»
  • Questo si traduce, sul piano normativo, in piani securitari della gestione delle persone migranti: non a caso affidati alle forze dell’ordine, garanti della sicurezza pubblica.  

Si può affermare quindi che la figura della persona che migra è costruita attraverso processi che tengono conto di almeno tre preconcetti – individuati dalla dottoressa e ricercatrice – quali: pericolosità, affidabilità e marginalità sociale (supposte).

Criminalità straniera in Italia

Se dovessimo partire dal dato statistico senza considerazioni ulteriori, come invece andremo a fare sempre grazie al lavoro della Blasetti, dovremmo sicuramente concludere che il tasso di criminalità della popolazione straniera che vive in italia è maggiore di quello degli italiani: il rapporto infatti sembra essere di 4,1% contro l’1,0%. 

Nell’anno 2021 ci sono stati 831.959 casi di arresti e denunce totali, dei quali il 68,1% nei confronti di cittadini italiani, il 26,6% di cittadini stranieri e il restante 7,4% di ignoti. (Fonte dati Dossier Statistico Immigrazione 2023)

Quali considerazioni siamo tenuti a fare per leggere la realtà con un occhio critico che va oltre i numeri? 

  • La popolazione straniera coinvolta nei casi di denunce e arresti è maggiore di quella effettivamente residente in Italia, dunque comprende, ad esempio, anche le persone di passaggio (per assistere a eventi, spettacoli, manifestazioni, ecc.) o le persone con permesso di soggiorno di breve durata per ragioni mediche, di turismo, di missione ecc.
  • Le denunce e gli arresti a carico delle persone migranti possono riguardare questioni relative la loro permanenza sul territorio italiano (tipo il titolo di soggiorno scaduto), quindi non un criterio di paragone con i titolari di cittadinanza italiana, in quanto questo tipo di reati “amministrativi” non li riguardano in alcun modo. Inoltre, la bassa pericolosità sociale di questo tipo di reati la dice lunga sulla scelta di inserirli tra gli “indicatori di criminalità”.  
  • Tenere conto che i casi raccolti riguardano il numero delle denunce e degli arresti, non delle persone denunciate o arrestate: quindi, in un anno la stessa persona può essere ad esempio denunciata più volte e dunque aumentare il tasso di criminalità della popolazione straniera in Italia. 
  • Infine, alla luce di quanto detto in precedenza e di quanto vediamo ogni giorno nelle stazioni e per le strade d’Italia, possiamo legittimamente affermare che il controllo (sia sociale che delle forze dell’ordine) si indirizza in modo selettivo e privilegia la persona straniera

 

Abbiamo riportato brevemente le questioni relative alla criminalizzazione del migrante in Italia – illustrate nel Dossier – sia da un punto di vista socio-culturale che giuridico-politico, cosa ne pensate?  Vi siete mai resi e rese conto di questi fenomeni nel vostro quotidiano? Come vi comportate di fronte a episodi di razzismo? Raccontatecelo nei commenti!

Dossier Statistico Immigrazione 2023

ALESSIA

Ieri mattina si è tenuta la presentazione della trentatreesima edizione del Dossier Statistico Immigrazione nel Nuovo Teatro Orione di Roma. Il Dossier Statistico Immigrazione 2023 è il frutto del lavoro meticoloso svolto da IDOS in collaborazione con la rivista Confronti e l’Istituto di Studi Politici Pio V volto a fotografare la situazione dei migranti in Italia. A coordinare i lavori sono stati Claudio Paravati, direttore del Centro Studi Confronti e Maria Paola Nanni, Centro Studi e Ricerche IDOS.

 

Come lo scorso anno, l’incontro delle parole di un’umanità che si stringe stretta attorno alla sua causa ha rilasciato nell’ambiente come un alone di fiducia, un senso quasi di speranza

Fiducia e speranza per un futuro diverso, per un mondo che ci sembra oggi quasi utopistico a causa del sempre maggior radicalizzarsi di una violenza generalizzata e strutturale che tende all’emarginazione e la reclusione dei migranti e di tutte le diversità non riconosciute o definite nelle categorizzazioni più volgari e simbolicamente veicolanti di insipidi pregiudizi. In un periodo storico in cui, come ha ben affermato Alessandra Trotta (moderatora della Tavola Valdese) “gli ideali più alti” sembrano essere stati calpestati e ormai irraggiungibili; il lavoro svolto da IDOS, Confronti e l’Istituto di Studi Politici Pio V è fondamentale in quanto oltre ai numeri e ai dati, o meglio, dietro ai numeri e ai dati, ci sono le persone reali. 

 

Un incontro denso sulla contemporaneità raccontata dal Dossier Statistico Immigrazione 2023 che ha visto il teatro riempirsi dell’unione di attivismo, esperienza, accademia e politica per ragionare su l’attenta fotografia dell’attuale tragicità che vivono i migranti in Italia. Un problema, quello che riguarda i migranti che riguarda noi tutti e tutte, come ha sostenuto Gianfranco Schiavone, socio Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) in riferimento alle recenti proposte concernenti la reclusione nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR): «Scivoliamo sempre di più verso misure potenti che sono la privazione della libertà per una condizione di una persona, non per la condotta!».

 

Quale società si configura? Si configura la società voluta dalla Costituzione?

 

Schiavone ricorda la Convenzione di Ginevra per cui non si possono applicare sanzioni penali a persone che entrano seppur “illegalmente” in un paese se per ragioni di sicurezza. Questo sembra un’affermazione ovvia ma è in realtà tutto ciò che viene messo in discussione oggi. L’atteggiamento politico e istituzionale nei confronti dei migranti e il conseguente sentimento ostativo della popolazione autoctona in generale può esser considerato il frutto di una distorsione, una narrazione errata sul concetto stesso del “cercare asilo”, molto spesso identificato con la sfera morale: una condotta sbagliata.

Il lento e devastante tessere di una rete di regolamenti e procedure, per il fine di arginare il “problema di fondo” (proteggere la sicurezza interna?) ha generato l’assurda condizione per cui si tentano di trovare tutti i modi possibili per rendere le richieste di asilo inaccessibili. Così, si potrebbe dire con le parole di Maria Paola Nanni (IDOS), assistiamo a un sempre maggiore “assottigliamento della linea tra accoglienza e trattenimento”. 

Cosa pretendiamo di capire da chi scappa dalla propria casa per salvare la propria vita? Quale prova tangibile vogliamo cercare della loro condizione a rischio? Un “certificato di persecuzione”? (Schiavone)

 

Ad introdurre la presentazione, le parole di Luca Di Sciullo (presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS) che ha parlato della prospettiva securitaria performante delle legislazioni che normano la migrazione in Italia e in Europa, la quale da almeno cinquant’anni ha condotto alla triste e più che mai contemporanea realtà costituita da razzismo istituzionalizzato e pratiche di esclusione delle persone che migrano. 

 

«Ciò che mette davvero a repentaglio la sicurezza nazionale non sono i profughi che arrivano ai confini, ma è il trattamento disumano che, per legge, riserviamo loro in modo sistematico in tutti gli ambiti più fondamentali della vita, disconoscendone i diritti basilari e rendendo proibitiva la realizzazione dignitosa della loro persona».

 

Di Sciullo ha parlato di una doppia trasformazione antropologica che si è progressivamente messa in atto in questi anni: dal richiamo della violenza per perseguire “l’unità del branco” attraverso le dialettiche nazionalistiche, alla “cosificazione dei migranti” sui quali, per mezzo degli schermi proiettiamo i nostri sentimenti di oppressione ed esasperazione. Si potrebbe definire un razzismo 2.0, ha illustrato ancora il presidente: un razzismo che prevede la deumanizzazione del migrante il quale approda a “cosa”.

 

Condivisione civica, speranza, diritti: sono una necessità contemporanea. Luca Casarini (capo missione della nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans) ha tenuto a sottolineare, parafrasando Hannah Arendt, che la democrazia non è mai sicura, va conquistata ogni giorno. E raccontando delle esperienze di salvataggio che porta avanti in mare – un mare che è nostro amico, tristemente trasformato dalle politiche nel mausoleo che è oggi – Casarini ha dato voce ad una “grande verità” secondo il mio parere poco considerata nel marasma dei discorsi sui migranti: «Noi li soccorriamo ma sono loro a salvarci dal precipitare del mondo che vedete proiettato nelle televisioni, quello lì è il loro mondo noi ne vogliamo costruire uno diverso».

 

Anche se brevemente e non in modo completo, ho tenuto a dedicare questo spazio alle parole e alle riflessioni aperte ieri dall’incontro della presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2023, in quanto sostengo siano state dense di significato e sia importante riportare alcune delle considerazioni emerse, così da poter tentare davvero di ripensare insieme un mondo diverso

Se ti interessa saperne di più vai al link www.dossierimmigrazione.it e facci sapere cosa ne pensi!

 

Nei prossimi articoli, utilizzeremo questa fonte fondamentale del Dossier per affrontare il discorso della percezione comune della persona migrante come criminale e della condizione reale delle persone straniere nelle carceri italiane

Per concludere, come di fatto ieri ha concluso Paolo De Nardis, presidente dell’Istituto di Studi Politici S. Pio V: «Oggi sono stati citati i numeri della migrazione, ma senza mai perdere di vista il filo rosso dell’urlo di battaglia di queste persone coraggiose, a dimostrazione che non è solo importante l’io ma anche il noi. Le nostre esistenze devono essere rivedute nello specchio del sé, perché l’alterità è una cosa bella, non solo da studiare ma anche da vivere».

La giustizia di classe

La giustizia di classe, secondo il nostro ricercatore spossato: L commenta la perplessità dell’esecutivo riguardo il recente provvedimento della Giudice di Catania. Le sue riflessioni principiano spesso dal profondo desiderio di non restare fuori dal mondo, di condividere il proprio punto di vista e dimostrare, un po’ a se stesso, ma soprattutto alle altre persone,  che la detenzione non deve necessariamente rappresentare una “chiusura” nei confronti di quel che accade all’interno della società per intero e di tutto quello che non riguarda in modo diretto l’universo totalizzante della reclusione e della pena.
LA GIUSTIZIA DI CLASSE SECONDO L

Vorremmo tanto che qualcuno spiegasse alla “nostra” basita (sic) Presidentessa, ma non chiamatela la “Presidentessa” altrimenti s’inca**a… (a tal punto da fare gioire Crozza che la “parodizza” in modo impareggiabile) vorremmo, dicevamo, che fosse a conoscenza che Montesquieu non era l’allenatore di una squadra di calcio francese, il Paris Saint. Germain o il Marseille ma il teorico della separazione dei poteri: quello esecutivo, legislativo e quello, se ne faccia una ragione, giudiziario. Non le hanno detto che anche chi ha il mandato popolare deve conformarsi alla Costituzione (Articolo 10) ed alle norme di diritto Internazionale

Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilita dalla Legge”.  

La vicenda è quella che riguarda la Giudice di Catania Dott.ssa Iolanda Apostolico che con un coraggioso provvedimento ha ritenuto illegittimo sostenere che la provenienza dalla Tunisia (Paese sicuro e democratico in realtà soltanto a parole) di alcuni poveri disperati possa essere una motivazione valida per il “fermo” e la detenzione degli stessi.

 

Verissimo, atteso che i “fermi” dovrebbero considerare la “posizione” degli esseri umani e non il Paese da cui provengono. Sui social già imperversa lo “squadrismo digitale” infarcito di apprezzamenti d’ogni sorta nei confronti della dottoressa Apostolico. 

Quelle della Giudice Iolanda Apostolico sono valutazioni giuridiche e non politiche.

Il fermo di Polizia disposto dal Questore sulla base di un  provvedimento incostituzionale del Governo doveva essere annullato. 

È tutto surreale, sembra di essere tornati ai tempi del Berlusca… ricordate? 

È un déjà-vu.

 

Il Cavaliere sì, proprio quello che aveva nella sua villa assunto come “giardiniere” uno stragista latitante e che con noncuranza urlava attraverso i “servi sciocchi” delle sue tv contro la magistratura milanese indicandola vergognosamente come “un’associazione a delinquere”, “un cancro da estirpare…” usando come corpo contundente, un giorno sì e l’altro pure vergognose leggi classiste ad personam partorite dal suo Esecutivo, ma pensa un po’ proprio lui … parce sepulto. 

La nuova Presidente qualche decennio dopo con toni più “rozzi” ha rispolverato lo stesso copione, lo stesso armamentario con esternazioni che sono una topica colossale.

 

Queste vicende riguardano tutti, anche noi detenuti appartenenti con modalità diverse alla categoria degli ULTIMI. Dobbiamo solidarizzare con gli altri detenuti, peraltro senza titolo, rinchiusi nei centri di detenzione. Bambini, donne, uomini con la sola colpa di aver cercato, disperatamente (con un’improbabile fuga verso la libertà), una vita dignitosa. 

Questo è il Belpaese della “bulimia normativa” delle improbabili “decretazioni d’urgenza” rovesciate poi sui social per carezzare gli istinti più bassi e feroci della gente. Politici che non creano il consenso con argomentazioni degne, semplicemente lo inseguono correndo dietro ai sondaggi.

Questo è “ il Belpaese “ dove si abolisce l’abuso d’ufficio, si vogliono inasprire le pene per il piccolo spaccio praticato da ragazzi che se non “recuperati”, una volta in carcere, finirebbero con il perfezionare ed approfondire le proprie abilità criminali.

Quando poi si deve perseguire la grande evasione fiscale con ridicole flatulenze verbali condite da ridicole giustificazioni, annunci e bla bla bla, si ricorre con sprezzo del ridicolo ai condoni.

 

È la giustizia di classe, bellezza.

 

L’ORSO-M49

 

Lo sgaurdo di un ricercatore spossato

LE PAROLE DI B
B ci scrive riflettendo sulle questioni della contemporaneità. Alcune delle sue considerazioni sono riportate in questo articolo: oltre che ai recenti movimenti dei giovani ambientalisti, B pensa ai migranti, all’orso recentemente “scagionato” e ai diritti dei bambini figli delle coppie omogenitoriali. 
Dal primo incontro con B è emerso il suo desiderio di condividere il proprio pensiero rispetto a quello che accadeva nella nostra quotidianità, proprio perché, mi ha detto una volta «Vorrei che le persone non pensassero ai detenuti come completamente fuori dal mondo».

A volte mi sento come un “ricercatore” spossato, indebolito

Poi però, spingo lo sguardo oltre il mio stato attuale e allora mi ravvedo, mi correggo: torno in salute. Forse il mondo che verrà fuori di qui, contrariamente ad ogni sciagurata aspettativa non sarà il peggiore dei mondi possibili. 

Guardo la tv e pure nella sua drammaticità è bellissimo vedere le continue contestazioni di piazza del popolo iraniano. Sembravamo destinati al tramonto dei principi di eguaglianza e pari opportunità di fronte ai rigurgiti teocratici e sovranisti ed al “liberismo feroce” di questi anni. 

Forse qualche segnale nuovo c’è, anche se in Italia un po’ meno. 

Basti pensare alle persone che hanno deciso di prendersi a bastonate per “motivi calcistici” lungo il tratto di un’autostrada.

Ma in altre circostanze è andata diversamente.

Il riferimento è a quei ragazzi che con della vernice (peraltro lavabile) hanno imbrattato i muri del Senato e continuano in Italia e nel mondo a portare avanti la loro campagna di sensibilizzazione sulla questione del disastro ambientale.

Sia pure con metodi discutibili, questi ragazzi hanno sollevato una questione cruciale. Discutibile la modalità ma lodevole il fine.

Dalla parte dell’orso

La cronaca pullula di notizie. Ce n’è una in particolare che è impossibile sottacere. Oggi è il turno di chi ha ordinato l’abbattimento dell’orso che ha ucciso il giovane runner in Trentino, appena ritirato. 

Un episodio gravissimo, non v’è dubbio, anche al netto di una certa imperizia del malcapitato che se fosse rimasto “immobile”, probabilmente si sarebbe salvato.

Ma le responsabilità vanno cercate altrove. A cominciare da chi voleva che si facesse uso di quella zona del Trentino una sorta di “luna rara” abitata dagli animali.

All’origine dell’invasione dei cinghiali, dei lupi e degli orsi, non si può non rilevare che ci sia una responsabilità propria di noi umani.

Siamo la specie che ha distrutto il nostro Pianeta con deforestazioni, disboscamenti e un incessante “plastificazione” degli oceani.

Identità e discriminazioni

Basta con questa retorica identitaria sui migranti! Ognuno, purché non sovrasti l’altro, è libero di vivere dove vuole. L’identità è l’incontro tra culture, popoli ed etnie diverse. Null’altro, per dirla con Mandela «La pelle è di tanti colori ma il sangue è rosso per tutti».

Basta con le discriminazioni di ogni tipo, soprattutto quelle di genere. Mi ricordo una canzone di Dalla che diceva di fare l’amore ognuno come gli pare.

Mi piace pensare ad una vita degna di essere vissuta, senza veli e senza dogmi, con amore e parità sociale.

Égalité

Quello che vede è un mondo pieno di pregiudizi medievali.

Si sono voluti colpire, con argomentazioni fallaci e presuntuose, i diritti dei bambini delle coppie omosessuali, interrompendo le trascrizioni dei figli provenienti dalle cosiddette famiglie non tradizionali. Siamo di fronte ad una “pedagogia autoritaria” che ci allontana dai paesi più evoluti dell’Europa (di cui, sia pure con molte criticità, facevamo parte) avvicinandoci alle componenti più retrograde e residuali, ovvero i governi ungheresi o polacchi. Si negano i diritti ai bambini usando in modo demenziale il tema della maternità surrogata, una tecnica questa utilizzata anche e forse soprattutto dalle coppie eterosessuali. 

Tutto questo è assurdo e per non usare brutte parole, forse è meglio fermarci qui. 

Dossier statistico immigrazione 2022 – i migranti nelle carceri italiane

Il 27 ottobre scorso ho avuto il piacere di ascoltare la presentazione del Dossier Statistico sull’immigrazione del 2022: il frutto del lavoro meticoloso svolto da IDOS in collaborazione con la rivista Confronti e l’Istituto di Studi Politici Pio V volto a fotografare la situazione dei migranti in Italia.  

Ad introdurre la discussione circa la trentaduesima edizione del Dossier, un pensiero rivolto a tutte le vittime del mare e delle frontiere, a tutte le sofferenze e il dolore di chi passa il confine: “A tutti i migranti reali che però sono assenti…”

In questo resoconto, vorremmo riportare i dati del Dossier per quanto riguarda la popolazione migrante detenuta dell’anno 2022. Numeri che rispecchiano una realtà diversa da quella narrata dal luogo comune per cui io non sono razzista ma questi vengono qua e ce stuprano ‘e figlie, ‘e mogli!”. Percentuali che fanno luce su l’evidente disagio socio-economico che vivono le persone che non-accogliamo tutti i giorni. 

Criminalità in Italia – il reale contributo delle persone straniere

Al fine di analizzare il “peso” delle persone straniere nel più ampio scenario criminale italiano, Gianfranco Valenti e Luca di Sciullo, ricordano l’assunzione preliminare di una serie di criteri oggettivi «senza i quali si rischia di fornire una interpretazione unilaterale, ingenua e scorretta» di una realtà che risulta essere più interconnessa di quanto non sembri.

Nel senso, è giusto porre un confine netto tra la criminalità straniera e quella autoctona? 

Lo studio qui presentato cerca di contestualizzare il fenomeno all’interno dell’ambiente sociale, culturale ed economico in cui si manifesta.

Quattro sono le riflessioni che aprono il discorso intorno alla questione contro cui invece si scontra l’opinione comune di molti italiani, condita con una «salsa razzista-lombrosiana – scrivono Sciullo e Valenti – per cui i caratteri somatici comuni a una “etnia” rivelerebbero tratti caratteriali propri di un’intera popolazione».  

  1. Non sempre il numero degli arresti o delle denunce sono corrispondenti alle persone effettivamente arrestate o denunciate, perché è possibile che una stessa persona sia arrestata o denunciata più volte nell’arco del tempo. 
  2. Le persone immigrate in Italia hanno un maggior numero di leggi a cui riferirsi e dunque un maggior numero di reati possibili rispetto agli italiani. Si parla in questo caso di tutte le leggi sull’immigrazione che regolano ingressi, permanenze e regolarità.
  3. Il prevalere dei reati commessi dai giovani, deve essere considerato alla luce di un confronto squilibrato in quanto gli individui giovani sono una forte rappresentanza della popolazione straniera in Italia, a differenza degli italiani più giovani. Dunque occorrerebbe proporre una comparazione della frequenza dei reati per fasce di età.
  4. Infine, non si può evitare di considerare «quanto il degrado del contesto urbano e sociale di vita, la condizione di emarginazione, l’assenza di misure e strutture di sostegno per un’effettiva partecipazione alla vita collettiva siano fattori che aumentano il rischio di scivolamento nell’illegalità…» e non solo per gli individui immigrati.

 

Dai dati messi a disposizione nel Dossier, tratti dall’archivio del Sistema Informativo Interforze si è assistito a un calo determinante delle denunce e degli arresti delle persone immigrate soprattutto nel periodo pandemico, quando in conseguenza alle restrizioni dovute al lockdown, è diminuita di fatto la possibilità di compiere reati “all’aperto”

Sebbene i numeri ad essi relativi siano saliti nuovamente in seguito alla graduale riapertura verso la mobilità sociale, questi sono comunque inferiori rispetto al periodo precedente la pandemia

Questione però secondo me fondamentale, riguarda l’incidenza percentuale sulla criminalità italiana dei reati accertati degli individui stranieri: per sequestri di persona (36,2%), violenze sessuali (41,0%) e omicidi preterintenzionali (42,6%) che in termini assoluti andrebbero a costituire rispettivamente lo 0,2%, lo 0,8% e meno dello 0,1% del totale

Flussi migranti in carcere 

Come abbiamo visto e possiamo dedurre di conseguenza, ad un calo di denunce e arresti delle persone immigrate in Italia, corrisponde il calare del numero dei detenuti in carcere: rispetto al 2008 – anno in cui si registra un numero di presenze migranti ristrette più alto rispetto agli ultimi 20 anni – quando la popolazione detenuta straniera costituiva il 37,1 % del totale; a giugno del 2022 si è scesi al 31,3 %. (Fonte: Associazione Antigone

Come illustrato da Carolina Antonucci, Francesco Biondi e Carla Cangeri, nonostante diminuisca il numero dei detenuti stranieri all’interno delle carceri italiane, è in aumento il numero dei suicidi. «Al 12 agosto – 2022 – erano morte suicide negli istituti penitenziari italiani 51 persone (già salite a 59 al 2 settembre), di cui 27 (più della metà!) erano detenuti stranieri». Come tristemente noto, il numero dei suicidi in carcere non è in diminuzione.

Accesso alle misure alternative 

Nell’articolo di lunedì abbiamo cercato di spiegare in chiave narrativa cosa siano le misure alternative alla detenzione, nel Dossier Statistico sull’immigrazione del 2022 è presente la quota dei detenuti stranieri in semilibertà (16,6% rispetto al totale dei detenuti in carcere). Il numero dei detenuti stranieri in semilibertà è in aumento, notano Antonucci, Biondi e Cangeri ma è comunque basso, sono 174 persone in tutto. 

Se la concessione della semilibertà viene valutata in base al percorso rieducativo e alle razionali possibilità di reinserimento sociale del detenuto e della detenuta, spiegano gli autori: «Evidentemente per gli stranieri sussistono condizioni soggettive – tra le quali anche la debolezza delle reti sociali di riferimento – che impediscono maggiormente l’avvio di questo percorso, con tutte le conseguenze negativo a livello individuale (sul piano pratico e psicologico) e collettivo (in termini di recupero dalla marginalità a una attiva e piena partecipazione al contesto sociale».

 

Quanto riportato è solo una parte dell’importante ricerca Idos, per conoscere nel dettaglio la situazione dei migranti in Italia nell’anno appena trascorso, vi consigliamo di acquistare il Dossier Statistico sull’immigrazione del 2022 qui.

Alessia