Cooperativa sociale che offre servizi di ascolto, orientamento, formazione, accoglienza rivolti a detenuti/e, ex detenuti/e e persone che vivono in condizione di disagio sociale.

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Vita in carcere

Fuori dal contesto di criminalità in cui è entrato da giovanissimo, dopo anni di reclusione e vicino come non mai alla libertà, C riflette sulle condizioni che hanno accompagnato la sua vita in carcere.
In un periodo storico in cui le pene aumentano a dismisura, la criminalizzazione delle marginalità si moltiplica e le vite recluse perdono continuamente fette fondamentali della dignità umana, ragionare sui contesti non è mai stato forse così importante, o forse lo è sempre stato ma non si è mai fatto abbastanza.
Ridurre tutto agli atti delinquenziali senza pensare ai vissuti delle persone che li hanno commessi è il rischio che conduce a pensare attraverso categorie escludenti che invece di combattere la violenza e la criminalità l’alimentano con sempre nuove e più subdole forme. Oggi guardiamo la realtà per quella che è attraverso le parole di C ma non solo, guardiamo a quella realtà nascosta del carcere, guardiamo alle sue contraddizioni e alle sue ipocrisie ripercorrendo alcuni ricordi di chi è uscito a fatica dal 41bis.   
LE PAROLE DI C

Scorcio di vita in carcere 

Quando mi hanno dato il permesso e quindi ero uscito dal 41bis, andavo a discutere una cosa che si chiama “Collaborazione impossibile”. Cioè questo giudice doveva prendere tutte le sentenze dei miei processi ed esaminarle. Per dire, io e Tizia andiamo a fare un omicidio, il giudice dice che se questo fatto è stato commesso da voi due ed è stato tutto chiarito tu puoi accedere al beneficio. Diciamo ad esempio che dopo l’omicidio vado a buttare la pistola e questa pistola non si trova, il giudice dice che non è tutto chiarito. A me era tutto chiarito perché avevamo un tot di collaboratori di giustizia di cui uno di questi stava con me notte e giorno. Allora mi hanno dato il permesso, nel senso che mi hanno dato accesso ai benefici. Da quel momento non sono più considerato un mafioso. Allora la prima cosa qual è? Quella di prendere un non mafioso e toglierlo da in mezzo ai mafiosi. O no? Il giorno prima del permesso un agente mi chiama ad alta voce – per far sentire a tutti – chiedendomi l’orario in cui sarei uscito. Sono stato sommerso dai bigliettini, chi voleva una cosa, chi un’altra. Mi arriva un bigliettino con un numero di telefono, chiedo all’agente cosa devo fare: buttarlo, consegnarlo o fare la telefonata? L’agente guarda il bigliettino e me lo ridà, affermando fosse solo un numero di telefono, quindi potevo tenerlo senza problemi. Dopo 10 minuti vengo chiamato dal comandante che voleva farmi rapporto! Ho capito che mi avevano incastrato e in seguito alla mia reazione un po’ violenta, mi sono fatto 11 giorni di isolamento. Dopo 6 mesi da un rapporto disciplinare si può accedere nuovamente ai permessi. Io sono uscito dopo 5 anni! Tra l’altro quando è successo questo fatto io stavo discutendo la semilibertà, quindi sarei potuto uscire molti anni fa.

 

Sono stato trasferito in un altro carcere. Quando sono arrivato l’educatore che ha fatto? Si è seduto con le mie carte davanti, mi ha guardato e mi ha detto: “Ma lei non sarebbe mai dovuto uscire dal carcere, ma chi l’ha autorizzato?”

“Come infatti mi è costato cinquanta mila euro il primo permesso”.

“Lei fa anche dell’ironia!”

“Il magistrato mi ha fatto uscire, mica sono uscito io…”

“Eh ma qua non funziona così”.

Dopo due giorni la direttrice mi chiama e mi dice: “Qua non succederà mai che lei possa uscire dal carcere senza il mio parere favorevole” io l’ho guardata e le ho detto “Va bene”. 

 

Per quel parere favorevole, 5 anni. Dopo che gli abbiamo allestito una bellissima pasticceria, pe’ 5 anni hanno mangiato dolci gratis…

Vissuti di dentro: racconti di incontri, legami e domandine

Lo scorso febbraio, in seguito a un commento ricevuto sotto un nostro post, un ex detenuto e utente della cooperativa ha deciso di condividere con noi la sua voce che oggi raccontiamo qui. Domenico è uscito definitivamente dal carcere nel 2022, un passato non molto lontano, ma è oggi libero e sereno perché “ha pagato tutto” e “non ha più nulla da nascondere”. La nostra chiacchierata inizia più o meno così: 

A. «Posso registrare?»

D. «Sì va bene tanto io non ho niente da nascondere, non ho più niente da nascondere. ‘Na volta sì adesso no».

LE PAROLE DI DOMENICO

Io ho conosciuto il PID nel 2005 dopo l’ennesima domandina che ho fatto, perché ne ho fatte svariate per poter parlare con un’operatrice del PID, eh!

Nel 2008 sono uscito e mi sono affidato al PID perchè io tutte le volte che sono uscito prima me ritrovavo sempre in mezzo alla strada e dovevo sempre fa’ reati, come me tanti altri detenuti che non hanno nessuno, nessun riferimento, nessuna opportunità diciamo. 

E il PID mi ha aiutato. Mi ha inserito nelle borse lavoro e mi sono trovato bene, non ho fatto più reati. E non mi hanno mai abbandonato, neanche in queste altre occasioni perché lo sapevano che io ormai ero uscito da tutto il contesto di delinquenza. 

Poi ho avuto altre carcerazioni, nel 2015 e nel 2019 ma erano tutte cose vecchie, prima del 2005 che sono andate definitive perché come si sa i processi vanno per le lunghe. 

 

A.«La famosa giustizia lenta?»

D. «Ma non direi lenta, lentissima».

Mi sono affidato a loro e sono riuscito adesso nel 2022. Grazie al PID però, perché mi ha dato una grande mano facendomi conoscere un’avvocatessa seria e mi ha salvato perché sennò il mio fine pena era il 2034.

Un lungo percorso “dentro” 

Ho cominciato con Porta Portese da minorenne e l’ho chiusa diciamo nel ‘67/’68. L’ex carcere minorile sarebbe. Poi sono andato a Regina Coeli, Rebibbia, San Vittore. Perché andavo pure fuori a lavorà, tra parentesi. San Vittore, Livorno, Firenze (sempre da minorenne) in Via della Scala; Chieti, dopo la rivolta del ‘74 a Rebibbia. Perché stavo là io quando c’è stato tutto il casino e abbiamo distrutto tutto quanto.

A. «Hai partecipato alle rivolte?»

D. «Si, ho fatto un casino lì. Ancora ero un ragazzo che la testa non c’era».

Entravo, uscivo, entravo, uscivo. Mi ritenevo l’omo più bevuto d’Italia

Che poi quando uscivo mi ritrovavo un’altra volta per strada… Dovevo campare, dovevo mangiare. Non avevo famiglia, non avevo niente.

Le domandine in carcere

In carcere devi fare domandina per tutto, per tutto ci vuole la domandina: per poter parlare con l’assistente sociale, per poter parlare con la psicologa, per poter parlare con il direttore, con il “capo posto” (il capo del reparto). 

Per fare entrare dentro un paio di scarpe nuove ad esempio, perché le vecchie sono rotte, devi darle prima indietro (le vecchie) altrimenti non entrano (le nuove). 

 

E certe domandine si perdono, diciamo si perdono… Tante le cestinano e invece tante si perdono. La domandina è tutto, senza domandina in carcere non ci fai niente.

Molte però, forse la maggior parte vengono perse. Io per poter parlare col PID ho fatto innumerevoli domandine. Finalmente poi mi hanno chiamato “Domenico? Devi anna’ a parla’ col PID”. “Oddio che sta a succede!”

Gli affetti da dentro e le feste in carcere

Allora uno che fa quando non trova un aiuto e si ritrova per strada?

Questo è quello che dicevo io… 

 

E lì ho passato svariati Natali, Natali brutti. Natali dove ho visto tanta gente, “criminali per davvero”, che in quei giorni la soffrivano veramente la galera. La soffrivano proprio perchè la gente diceva “sì, so criminali e tutto quanto” ma dentro c’hanno sempre ‘ncore. Hanno i figli, le famiglie, le madri, i padri che hanno lasciato fuori.E per quanto delinquenti senti che ti mancano quando arrivano questi giorni particolari. 

Sono gli affetti che mancano, mancano.

Io ce ne avevo pochi di affetti in quei periodi. Dopo ce ne ho avuti tanti, nel 2005 i miei due figli. Nel 2019 mio figlio era in clinica, ricoverato che ora sta male e lo seguo io, viviamo insieme perché da solo non può stare. Stiamo io e lui, lo aiuto con le terapie e quello che deve fare. Stiamo tranquilli.

A. «Quindi hai trovato la tua serenità in qualche modo?»

D. «Sisi, adesso sì. E cerco di dargliela pure a lui».

Torneremo a Domenico e alla storia, ai suoi preziosi racconti e alle sue parole desiderose di una giustizia che non dimentichi nessuno.

Una vita stravagante: le relazioni del passato

Parlando con S è quasi impossibile non cadere nei dettagli più intimi della sua stravagante storia di vita, connotata da sofferenze intense che guarda oggi con uno sguardo più critico e consapevole. Nel rispetto delle sue emozioni, tenteremo di riportare le sue parole  attraverso la medesima finzione interpretativa che accompagna le narrazioni delle persone che avete letto finora, ma che sento ancor più imperativa per questo tipo di argomenti. 
LE PAROLE DI S

La mia vita è stata piena di belle esperienze ma ho fatto anche tanti sbagli. 

Da giovanissimo ho perso mio padre e mio fratello, mi sono avvicinato a tante persone che potevo evitare. Le disgrazie in famiglia mi hanno fatto cambiare. L’uso di droghe non ha poi aiutato, insieme ai lutti che ho subito: quando perdi una persona cara ti resta quella rabbia dentro che è difficile che vada via. 

La famiglia mi è mancata tanto, ora mi è rimasta solo mia sorella ma non siamo mai andati molto d’accordo. Ero ingestibile, quindi capisco perché in molti si sono allontanati da me, ero un pezzo di ferro chiuso nella mia rabbia.

Parlando d’amore, S una volta mi ha detto:«Amore è una parola troppo grande, non la usare». Lui racconta spesso le relazioni del passato, per cui abbiamo cercato insieme di condividere con voi, nel modo più coerente possibile, quella che è stata la sua “vita amorosa” giovanile, intrecciata in modo quasi inevitabile con la tossicodipendenza. Infatti, S racconta brevemente anche della sua disintossicazione solitaria. 

Con i rapporti non sono mai stato quieto. Come facevano le donne, anche quelle “giuste”, a starmi dietro? Non ho saputo mantenere relazioni stabili proprio per la mia vivacità, volevo sempre di più

Tutto è amore, la vita è amore

L’amore per me è una cosa seria, un conto sono i rapporti superficiali, altro conto è quando una persona ti piace veramente e in quel caso si soffre. Nella maggior parte delle situazioni quando finisce una storia, anche seria, la colpa è di entrambe le parti. Anche se c’è sempre quello che io chiamo “la metamorfosi dell’amore”, cioè quel momento in cui ci si addossano le colpe l’uno con l’altra. 

La gelosia è forse uno dei motivi per cui mi sono sempre trovato a discutere con le donne della mia vita, perché in modo totalmente sincero confesso di non essere sempre stato fedele. Però poi quando è successo a me, che sono stato tradito da una persona a cui volevo molto bene, è stato brutto. Ho trovato la persona che mi voleva mettere in riga. L’amore è rispetto ma il mio cervello quando ero giovane si era inchiodato “io posso e lei no”. Poi ci ho ragionato, ho smesso anche di drogarmi e le cose sono cambiate.

Arrivi a un certo punto che sei in un tunnel senza più luce

Ti spegni lentamente, sei solo perché la gente inizia ad evitarti perché ti considerano pericoloso o fuori di testa. Ho perso tante persone, anche le più importanti, quelle a cui interessavo meno erano quelle che restavano di più ma per la droga, per convenienza. 

E quando me ne sono reso conto, ho capito che mi ero stancato di queste situazioni e di questi rapporti fittizi.

Ho cambiato anche il modo di pensare, sono andato via da quegli ambienti che restano sempre uguali e all’interno dei quali le persone non dimenticano mai cosa hai fatto. Quindi quando ti sei fatto terra bruciata poi non c’è più  modo di ricostruirti una vita diversa.  Per quanto riguarda la mia disintossicazione, da cocaina soprattutto, posso dire che ho fatto tutto da solo ma gradualmente. Ho iniziato prima a togliere l’alcool e poi con calma le cose più pesanti, oltre che come ripeto, ad allontanarmi da determinate amicizie, da determinati ambienti e soprattutto da certe donne con cui uscivo che erano tossicodipendenti come me. Infatti, spesso mi usavano solo per quello, l’amore per loro era la droga

 

Guardavo le persone intorno a me che arrivavano a delle condizioni veramente assurde e io pensavo che non volevo arrivarci mai così. Mi piaceva ascoltare quello che raccontavano, i loro problemi e le loro storie anche più complicate delle mie.

Ho cercato di aiutare una mia compagna in particolare, o meglio pensavo di aiutarla ma in realtà lei aveva già dei problemi di depressione e continuando a drogarci non abbiamo migliorato la situazione. Mi dispiace ancora oggi, ma quando ho provato a togliere le droghe ho capito che lei stava con me solo per quello. Ho sofferto molto per lei, ma è passata anche questa.

Guardando indietro e facendo i conti con il suo passato, S ad oggi è sereno.

Prima sì, avevo rancore per la comprensione che mi veniva negata. Ad oggi è diverso, ho accettato molte cose, mi sono liberato di tutto il peso che avevo dentro, ma c’è voluto tempo. Quando finisco qui devo ricominciare da capo e la cosa non mi spaventa, ho ricominciato così tante volte come se avessi vissuto tantissime vite.

La piramide è l’immagine scelta da R per rappresentare la sua vita, o meglio la sua crescita: la costruzione, mattone dopo mattone, della sua persona e del suo carattere; il frutto delle sue esperienze, del suo girovagare, delle decisioni prese, le perdite subite e l’accettazione delle stesse.

Ora sono completo, sono arrivato alla cima e ho voglia di vivere una vita normale, stabile. Io penso che la vita non è facile per nessuno e certe ferite restano per sempre, però è una grande soddisfazione quella di poter dire di avercela fatta. 

Prendere la patente – riscoprire l’entusiasmo nelle azioni quotidiane

In uno dei primi incontri, G si mostra entusiasta come un bambino per la novità della patente: ha appena superato l’esame teorico dopo mesi di studio e ne è super orgoglioso.

  1. L’arresto – la questione dei documenti;
  2. Assente dalla vita per un po’ – la relazione con gli altri;
  3. Prendere la patente – il giorno dell’esame;

L’arresto – la questione dei documenti

Quando vieni arrestato ti tolgono tutto: pure i lacci delle scarpe. Nel momento in cui esci ti ridanno quello che avevi, ma dipende dai casi. Per esempio, a me la patente l’hanno bloccata perché la mia condanna non era una cosa semplicina. Quindi ho dovuto ricominciare da capo, ma prima di farlo ho dovuto fare tutte le carte e ripartire da zero: vita nuova, patente nuova.

In tanti hanno detto “ma quando se la prende la patente questo!”.

Perché effettivamente prendere la patente oggi è molto più difficile rispetto a quando la presi io. Quando sono andato a scuola guida, erano tutti ragazzi giovani e mi sentivo molto a disagio.

Assente dalla vita per un po’ – la relazione con gli altri

Solo una signora conosceva la mia situazione, a lezione mi mettevo sempre dietro e ascoltavo l’istruttore che però non sapeva il motivo per cui stavo prendendo la patente a quest’età. Infatti un giorno me l’ha chiesto e io gli ho risposto “per 18-19 anni sono stato assente dalla vita”. Fortunatamente è stato chiamato dalla suddetta signora che gli ha spiegato la situazione e gli ha detto di evitare di parlarne davanti a tutti, così ha fatto.

Mi sentivo molto  a disagio: non voglio che le persone, soprattutto ragazzi giovani, mi guardino con timore, io voglio essere una persona normale.

Poi con il tempo ho preso un po’ di confidenza, ero l’unico a fare sempre domande e infatti sono stato anche ripreso dai ragazzi che mi hanno detto che parlavo solo io!

Lì ci sono andato per imparare chiaramente e questo dovevo fare, se non capivo facevo domande, era importante per me.

Prendere la patente – il giorno dell’esame

Quando siamo andati a fare l’esame ero teso come non mai, che ansia! 

Mi ha accompagnato l’educatore e dopo neanche 5 minuti avevo già concluso. Ho combinato un po’ di casino dentro l’aula, perché non riuscivo ad accendere il computer e tutto ma nessuno voleva aiutarmi perché è vietato parlare, poi per fortuna una ragazza mi ha detto come dovevo fare. 

Tornato a Casa la sera mi chiama la scuola guida: tutti bocciati tranne me. Avevo imparato a memoria TUTTE le domande, ho fatto i quiz sul telefono per 4 mesi durante ogni momento libero che avevo:  a pausa pranzo a lavoro, sui mezzi, la sera prima di andare a dormire… sempre!  Con costanza e impegno ci sono riuscito ed è per me motivo di orgoglio. 

Sono felice di aver preso la patente perché mi sento sempre più vicino alla normalità della vita quotidiana.

LE PAROLE DI G