LIVIA
Due settimane fa abbiamo scritto un articolo sul sovraffollamento, il caldo e i suicidi in carcere.
Il tempo di pubblicarlo ed è uscita la notizia di un nuovo suicidio e poi di un altro, e poi di un altro ancora.
Tenere questo conto comincia a diventare difficile sotto tutti i punti di vista, solamente chi dovrebbe farsene carico, lo stato e chi lo rappresenta, sembra non avere difficoltà in merito.
Perché questo è importante sottolineare, il carcere è un’istituzione statale, come le scuole e gli ospedali per intenderci.
Tutt3 dovremmo interrogarci sul perché, invece, è diventato e viene percepito come un mondo a parte dove tutto può succedere.
Se già più volte ci siamo soffermat3 sul lato politico e sociale dei numerosi suicidi che stanno avvenendo, ora il nostro pensiero si sofferma sul lato emotivo.
La morte di una persona provoca dolore e spiazzamento, la morte per suicidio provoca una miriade di altre sensazioni e riflessioni.
E dietro la morte di una persona c’è il dolore di tant3.
In questi casi c’è il trauma di chi ritrova un corpo senza più vita, che siano poliziott3 o altr3 detenuti; c’è il dolore e lo stupore di chi fino a qualche ora prima aveva condiviso tempi e spazi ristretti; c’è soprattutto il dolore e la disperazione di chi è fuori e a quel “detenutə suicida” voleva bene.
Dolore al quale si aggiungono rabbia, perché il carcere dovrebbe custodire e non uccidere; rimorso, per non aver capito quanto poteva succedere; rimpianto, per un’ultima carezza mancata.
Le persone detenute che si stanno togliendo la vita sono esseri umani non numeri, proviamo ad immaginare cosa significa la perdita di una persona cara, proviamo a ricordare cosa abbiamo provato quando ci è successo.
Purtroppo sappiamo tutt3 che ci saranno altre morti e altre rivolte, in un effetto domino potenzialmente infinito.
Purtroppo sappiamo tutt3 che continuerà il silenzio istituzionale, figlio di un disegno repressivo ampio e ramificato.
Purtroppo sappiamo che anche le nostre sono solo parole, lette da poch3 e condivise da pochissim3, ma continueremo a scrivere, a lavorare, a lottare e indignarci finché avremo fiato.