Cooperativa sociale che offre servizi di ascolto, orientamento, formazione, accoglienza rivolti a detenuti/e, ex detenuti/e e persone che vivono in condizione di disagio sociale.

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Reato universale – altri modi di dire alle donne come gestire il proprio corpo

Presupponendo qualche potere trascendentale sui corpi e sulle vite delle persone con utero, ecco che in Italia, la tanto attesa mano di ferro portatrice di ordine e sicurezza – schierata contro “l’ideologia gender” in nome di un caotico ginepraio che sarebbero “i valori de ‘na volta” – arriva a definire i termini per i quali la gestazione per altri sarebbe un reato universale.

Fa un po’ ridere il pensare le cose in termini universalistici quando, perfino in questo paese di conservatori, esiste una buona parte della popolazione che grida l’esigenza di uno sguardo intersezionale sulle cose del mondo.

NB. Guardare all’intersezionalità è una pratica promossa dai movimenti femministi e transfemministi che presuppone la consapevolezza della complessità della realtà, costruita su relazioni di potere e di subordinazione che producono le marginalità le quali hanno TUTTE necessità di essere considerate, ascoltate, viste, ecc. Questo, molto in breve, vi rimando alle parole di Sabrina Marchetti per una riflessione:

«Nel momento in cui ci accingiamo a parlare di “diversità”, siamo immediatamente obbligati a confrontarci col fatto che di “diversità”, ogni persona, rispetto alle altre e rispetto alla società nel suo complesso, non ne ha una sola.»

Fa un po’ meno ridere la pretesa dello stato di diritto di criminalizzare bambine, bambini, genitori e intere famiglie che hanno la loro quotidianità, esistono e continueranno a farlo nonostante il reato sia da mercoledì ufficiale. E per quelli che verranno?

Che poi c’è da ingegnarsi per capire quale problema rappresenterebbe per l’Italia se una persona mette a disposizione la propria capacità gestazionale per un’altra che non può ma vuole avere figli o figlie. Reato di cosa? Sarà forse che siamo spaventati dalla complessità del mondo? Notiziona, complesso lo è sempre stato il mondo.

«La frammentazione dei ruoli genitoriali accettati della paternità e della maternità (Parkin, 1997), che deriva dall’applicazione delle tecniche di riproduzione assistita, ha spinto in avanti la distinzione, ben nota nell’antropologia classica, tra genitore-genitrice e padre-madre sociali con la filiazione materna che può sdoppiarsi nelle sue due componenti costitutive, darsi separatamente come una maternità genetica oppure come una maternità gestante. Fino a cinque persone possono risultare coinvolte, nel caso in cui entrambi gli aspiranti genitori (genitori di intenzione) siano sostituiti nelle loro funzioni genetico-procreative da un donatore di spermatozoi, da una donatrice di ovuli e da una gestante incaricata di portare avanti la gravidanza, nella cosiddetta surrogacy gestazionale (gestational surrogacy).» – Antropologia delle famiglie contemporanee, Simonetta Grilli

Fa ancora più ridere l’ipocrisia insita nelle pratiche di governo dei corpi delle donne che le investe di un duplice fardello: da un lato macchine riproduttrici di lindi e pinti nuovi cittadini, dall’altra criminali che utilizzano le stesse funzioni biologiche richieste dalla società per essere considerate a tutti gli effetti delle “vere donne” per permettere ad altre vite di colorarsi con l’arrivo di nuove vite. Cioè detta molto semplicemente: le persone che vogliono figli ma non possono averli (per le motivazioni più disparate) continuano a non poterli avere MA le persone che non vogliono figli ma restano incinte (per le motivazioni più disparate) non possono interrompere la gravidanza. È caotico? Non ha molto senso? Sì, ma a quanto pare è così. E buona pace alla libertà di autodeterminarsi in un paese libero.

Oltre la solita polemica, cosa s’intende per reato universale?

Mercoledì 16 ottobre la proposta di legge FDI viene approvata. Ebbene la gestazione per altri, chiamata spesso e impropriamente “utero in affitto”, diventa reato universale: ergo, sarà perseguibile in Italia chi farà ricorso alla GPA anche se all’estero.

«Anche se ci sono forti dubbi sulla sua applicabilità, secondo diversi giuristi la legge avrà comunque ricadute concrete sulla vita delle persone che vorranno far ricorso alla GPA: potrebbero andare infatti incontro a un processo, accusati di un reato che comporta il carcere o una multa elevata.» – Il Post

È davvero frustrante dover leggere queste cose, pensarle reali, dover ribadire ancora una volta la libertà personale di scegliere come condurre la propria vita. Perché di questo parliamo, di vita.

Una vita donata diventa reato. 

Ottava – ricordi di un’operatrice in carcere

Ormai più di 15 anni fa Laura entrava in carcere come operatrice e come donna in una delle sezioni più difficili da affrontare, contenitrice delle persone che avevano commesso reati di violenza sessuale e di pedofilia, o di chi dopo aver collaborato con le forze dell’ordine doveva essere protetto dal resto della popolazione detenuta. Le sue parole quantomai attuali ci fanno ragionare su questioni fondamentali. La prima che emerge è proprio il ruolo di educatorɜ, volontarɜ, operatorɜ in carcere, del peso che portano con loro, tutte le “strategie” necessarie per poter spogliarsi di ogni tipo di pregiudizio di fronte a una persona detenuta e non restare risucchiatɜ dall’istituzione carceraria. Sono le esperienze del contatto con le persone che erano dentro per reati di violenza sessuale a raccontarci ancora una volta quello di cui poi non si smetterà di parlare e che si radica nel nostro contemporaneo da un tempo quasi inquantificabile: la violenza strutturale sul corpo delle donne. 

LAURA, 4-03-2009

Infondo al corridoio, seconda rotonda subito a sinistra. 

Cammino con calma Il corridoio è lungo e gelido, e la temperatura è sempre, misteriosamente più fredda di quella esterna, il pavimento è oleoso che quasi ci si pattina, doppia rampa di scale. Io salgo sempre quella di destra dove il primo gradino è rotto, non c’è un motivo forse un po’ per abitudine o per cercare quella sicurezza sciocca che solo le abitudini sanno dare, quella sicurezza che fuggo all’esterno, perché le abitudini sono delle bestie, e per quanto spesso le preferisca all’uomo per la loro sincerità, ritengo che immobilizzarsi in esse non ci renda liberi di crescere.

 

Ma come poter parlare di libertà in un luogo simile?

E allora come bestia ripeto sempre lo stesso rituale. 

Alla fine del corridoio seconda rotonda a sinistra, Ottava sezione.

 

Quello dell’ottava è l’unico portone d’ingresso di tutti i “bracci”, dai  quali vetri non si vede attraverso. Devo dire che è la sezione in cui vado maggiormente mal volentieri,  sempre prima di entrare faccio un grande respiro, come quelli che si fanno in mare prima di andare giù in apnea, e indosso il migliore tra i miei sguardi di repertorio seri e duri.

L’ottava è strana, al momento dell’ingresso ho sempre la stessa sensazione, come di stare entrando in un manicomio. I muri sono bianchi, tutto è molto bianco, la sezione è quella che riceve in assoluto il minor numero di visite dal mondo esterno civile laico e cattolico. Gli ospiti mi sembrano avere spesso tutti sguardi vuoti e tondi, anche se non è così, e aspettano sempre

 

Il corridoio principale è spesso vuoto, al contrario delle sezioni comuni, per ognuna delle quali ho costruito un’immagine che la contenga. Per poter lavorare e vivere in carcere credo che le persone creino dentro di sé delle strategie per poter sopravvivere

Io personalmente mi creo una barriera difensiva che impedisca alla struttura architettonica, a quella gerarchica e al concetto di chiusura, di farsi spazio ed annidarsi dentro di me, una strategia che faccia sì che non venga interiorizzata la mentalità carceraria. E poiché ragiono molto per immagini e riesco a costruire in me dei contenitori per esse, tutto ciò che vedo,  anche le persone, vivono attraverso il filtro della mia immaginazione. 

 

Questa è una sezione molto particolare, è quella deputata ad accogliere le persone che hanno commesso reati di violenza, di pedofilia e i cosidetti “infami”, ovvero chi fa nomi, cioè “se la canta” non attenendosi al codice che vige tra i galeotti. Il carcere è un micro universo e come tale ha le sue regole, e il disprezzo comune verso chi usa violenza sulle donne e sui minori, è l’unico spazio all’interno del quale si trovano uniti guardie e detenuti. In ottava l’unico a non fare differenze è dio, che attraverso il volontariato cattolico porta conforto a queste “anime perse”. Dovrei dire che forse è uno dei pochi posti dove non fa differenze. 

Io non vivo attraverso una caritatevole ed imparziale morale cattolica,  per cui sono costretta a scindermi tra l’operatrice che offre lo stesso servizio a tutti e la donna che fermamente ama prendere posizione. Quello che mi sono costretta a fare è stato separarmi da un giudizio a priori  dove non c’è spazio per l’errore della legge, che non  è quasi mai giusta, ma mantenere uno spazio solo mio in cui osservo, studio, immagino, ascolto.

 

 Mi siedo nella stanzetta bianca l’agente chiama le persone che hanno fatto domandina. L’operatrice svolge impeccabilmente il suo lavoro, cercando di non entrare nei dettagli, ma tutti hanno un gran bisogno di dire come sono andate effettivamente le cose benché io insista che non importa, che noi parliamo allo stesso modo con tutti. Ma il marchio di stupratore è un pesante fardello da portare. Tutti vogliono convincermi della loro innocenza neanche fossi il giudice. Ed è così che mi trovo a  parlare perlopiù con persone comuni spesso benestanti  a cui non manca nulla, vittime della “follia” del momento – o più propriamente di un sistema culturale che inietta loro fin da subito una mentalità patriarcale e violenta – o assolutamente innocenti, e a viaggiare tra stanze d’albergo, B&B, capannoni dove si consumano i delitti. Sono vittime di false denunce, di ricatti…. Donne che si puliscono dallo sperma apposta con i propri abiti per poi poter ricattare, donne che affrontano quella che viene vissuta come la vergogna di aver subito una violenza, trafile burocratiche, esami del DNA, interrogatori spese legali per una ripicca, per ricattare. Per cosa? Quante volte effettivamente può presentarsi una situazione del genere? Non lo so ma conservo i  miei dubbi.

Capita in questi colloqui che sia il concetto di violenza ad essere messo in discussione, violenza può essere qualsiasi contatto… la violenza non esiste. Qualcuno racconta di non aver violentato nessuno, semplicemente di essere andato con una prostituta senza poi pagare: non è violenza, perché si tratta di una puttana. E se non si tratta in termini pratici di una prostituta, è sempre così che si rivolgono alla donna, come a una cosa. E attraverso i volti e le parole io non vedo le persone che mi parlano, non raccolgo  disgusto verso il singolo, proprio non mi viene, ma dall’interno del carcere, prendo tutto questo come un plastico, una miniatura, e lo riporto fuori. Io vedo una identica società ricostruita in piccolo, un’identica  ignoranza che accomuna poveri e ricchi. Lo stesso meccanismo di scuse e omertà che copre le migliaia di stupri che avvengono nelle famiglie, dentro le case coperti dal perbenismo borghese.  Continuo a vedere una società che porta alta la bandiera dell’uguaglianza, delle pari opportunità che si basa su uno sviluppo orizzontale e superficiale  che non si guarda mai indietro, che non va in profondità, che lavora per i diritti di tutti ma non insegna, non dà strumenti alle persone per poter capire davvero, che non l’ha mai fatto se ancora  adesso la gente ragiona così.  Una società che prevede che il  corpo sia uno strumento politico legato alla sua utilizzazione economica. 

E nessun corpo più di quello femminile è stato assoggettato a strumento economico, la società se ne impadronisce attraverso una falsa emancipazione che ci rende ancora più schiave, ancora più macchine, ancora più assoggettate ad un controllo maschile. Impedisce di fare figli per un culto del corpo o perché è riuscita a convincere che la realizzazione è esclusivamente quella lavorativa, dunque personale e quindi economica, negando uno spazio creativo che ognuna ha il diritto di scegliere, ed imponendone uno restrittivo all’interno di un’immagine. Una società che ugualmente ti penalizza se invece i figli li vuoi fare, perché non sei più una bestia produttiva, una società che ha costruito un concetto di famiglia  dove la prima cosa, la base è la stabilità economica e la ricchezza, rendendoci ignoranti al fatto  che “la ricchezza impone un più accentuato controllo sociale” .

Si mette in prima pagina un mostro si “punisce uno per educarne cento”, si fanno scivolare nel dimenticatoio gli stupri compiuti “dai quei bravi ragazzi” di buona famiglia, continuando silenziosamente a colludere con tutte le centinaia di violenze che avvengono dentro le sicure mura domestiche, ma infondo lontano dagli occhi…

Analizziamo la Violenza di Genere in Italia: con il principio di Pareto 80/20

MATTEO

La violenza di genere è un problema persistente in Italia e in tutto il mondo. Per esaminare questa questione complessa, possiamo applicare il principio di Pareto 80/20, noto anche come il principio di “vital few e trivial many“. I più assidui lettori del blog ricorderanno che questo principio suggerisce che circa l’80% degli effetti proviene dal 20% delle cause. 

 

Il 20% dei Casi di Violenza di Genere

Nel contesto della violenza sulle donne in Italia, il 20% dei casi rappresenta una grande parte del problema. Questi sono i casi più gravi, che spesso portano a gravi danni fisici e psicologici per le vittime. Questi casi richiedono una risposta urgente e coordinata da parte delle autorità e delle organizzazioni di supporto.

 

Le Cause Principali dell’80%

L’80% dei casi rimanenti di violenza di genere ha spesso cause radicate in dinamiche sociali, culturali ed economiche. Queste includono stereotipi di genere, disuguaglianza economica, mancanza di istruzione e consapevolezza, e altre sfide strutturali. Affrontare queste cause richiede un impegno a lungo termine per promuovere cambiamenti significativi nella società.

 

Concentrarsi sull’Educazione e la Sensibilizzazione 

Uno dei modi più efficaci per applicare il principio di Pareto è concentrarsi sull’educazione e sulla sensibilizzazione. Investire nella formazione delle giovani generazioni e nell’informazione delle comunità può contribuire a ridurre la violenza di genere. Promuovere l’uguaglianza di genere nelle scuole e nelle campagne di sensibilizzazione pubblica può avere un impatto significativo.

 

Supporto alle Vittime di violenza di genere

Per affrontare il 20% dei casi più gravi, è essenziale migliorare l’accesso delle vittime a servizi di supporto. Questi servizi dovrebbero essere facilmente accessibili, rispettare la privacy delle vittime e offrire assistenza legale, psicologica ed economica.

 

L’applicazione del principio di Pareto 80/20 alla violenza di genere in Italia ci offre una prospettiva interessante sulla questione. Concentrando gli sforzi sull’80% dei casi meno gravi e sulle cause principali, possiamo lavorare per creare un cambiamento significativo nella società italiana. Questo richiede una collaborazione tra istituzioni, organizzazioni non governative e la società civile per affrontare la violenza di genere in tutte le sue forme e promuovere un futuro più equo e sicuro per tutti.